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«Al centro casa, salario minimo e lotta climatica» #finsubito richiedi mutuo fino 100%


Pace, lavoro e ambiente: queste le priorità di Federico Serra, candidato presidente alle prossime Elezioni Regionali in Emilia-Romagna, sostenuto da Potere al Popolo, Rifondazione Comunista e Partito Comunista Italiano, uniti in un’unica lista, denominata “Emilia-Romagna per la pace, l’ambiente e il lavoro”. L’intervista di Nicola Maria Servillo (BolognaToday) si è svolta nei giorni scorsi in una delle sedi di Potere al Popolo, in via Ferrarese a Bologna, con Serra ancora con stivali e pantaloni sporchi di fango, appena rientrato da via Andrea Costa, dove stava aiutando residenti e volontari a ripulire le strade e le abitazioni colpite dall’alluvione. 

  • Serra, lei pone una forte enfasi sulla tutela dei lavoratori e la sicurezza in ambito lavorativo. E se ne avverte la necessità, anche dinnanzi all’ultima tragedia avvenuta alla Toyota di Bologna.  

Sul tema del lavoro ci sono due questioni principali: il lavoro sottopagato, che è conseguenza degli appalti nel settore privato, come nella logistica e nei subappalti, e degli appalti nel settore pubblico. La Regione può intervenire subito implementando un salario minimo negli appalti pubblici, stabilendo un livello minimo di retribuzione per quelli gestiti dalla Regione e dagli enti locali, così da evitare il dumping salariale. Questo servirebbe a proteggere molti lavoratori, in particolare quelli dei servizi alla persona, dell’igiene ambientale e del settore delle pulizie, che spesso lavorano solo 3-4 ore per offrire servizi essenziali alla cittadinanza. Per quanto riguarda il settore privato, c’è il tema della sicurezza sul lavoro e degli incidenti, soprattutto nella logistica e nell’industria. La Regione deve creare tavoli di confronto con tutti i sindacati rappresentativi, cosa che non è avvenuta con il “Patto per il clima e il lavoro”, che non ha coinvolto tutti i sindacati presenti nei luoghi di maggiore sfruttamento. Un’altra priorità è frenare lo sviluppo del modello logistico, favorito dalla cementificazione sostenuta dalla Regione, che ha prodotto un sistema di lavoro precario e a basso salario. La sicurezza sul lavoro è un tema cruciale in ogni settore, ma l’intervento immediato che la Regione può realizzare riguarda l’introduzione del salario minimo negli appalti pubblici.

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  • Critica la crescente privatizzazione della sanità, proponendo un’inversione di rotta per potenziare il servizio sanitario pubblico. Come?

Negli ultimi 30 anni, tutte le forze politiche che hanno governato il nostro Paese hanno costantemente tagliato i fondi alla sanità pubblica e incentivato quella privata. Non possiamo risolvere queste contraddizioni dall’oggi al domani, ma è possibile invertire la rotta. Prima di tutto, è necessario spostare i fondi dal settore privato a quello pubblico. Allo stesso tempo, bisogna rivedere il sistema delle Aziende Sanitarie Locali, che oggi presenta enormi disparità territoriali, anche a causa del meccanismo di appalti e accreditamenti, con servizi sanitari fortemente differenziati. Ad esempio, chi vive in una periferia o in una provincia ha meno accesso al diritto alla salute rispetto a chi vive in una grande città.

Attualmente, molte persone rinunciano a curarsi a causa delle difficoltà di accesso alle cure. Bisogna invertire immediatamente questa tendenza, dando ai cittadini la possibilità di accedere ai servizi sanitari pubblici. L’alternativa è affidarsi alla sanità privata, che può sembrare una soluzione temporanea, ma che in realtà spinge chi non ha risorse economiche a rinunciare alle cure. Se vai al CUP e ti propongono una visita privata entro tre giorni, puoi accettarla solo se hai i soldi; altrimenti, devi attendere per il servizio pubblico.

Un altro tema cruciale è quello dei servizi per gli anziani non autosufficienti, che rientrano nelle competenze della Regione. Il sistema di accreditamento, spesso gestito da cooperative, ha portato a un lavoro sottopagato e precario e a servizi di scarsa qualità, sia nelle RSA, nei centri diurni, che nell’assistenza domiciliare. La popolazione anziana sta crescendo e i loro servizi non possono essere trattati come fonte di profitto. È necessario riportare questi servizi sotto la gestione diretta della Regione, attraverso una reinternalizzazione, che richiederà tempo ma è un passo fondamentale per cambiare rotta.

  • Alluvioni. Quali gli errori commessi? Quali le politiche da attuarsi per migliorare la situazione in un territorio che abbiamo riscoperto fragile?

Il cambiamento climatico è una realtà e non si può negarlo. Esso amplifica la fragilità di un territorio già vulnerabile a causa dell’eccessivo consumo di suolo, in gran parte dovuto alla legge urbanistica promossa dalla giunta Bonaccini. Per cambiare radicalmente rotta, la prima cosa da fare è una moratoria su tutte le grandi opere, dal Passante di Bologna fino all’ampliamento delle autostrade su tutto il territorio. È necessario fermare questi progetti per riflettere e riorientare le risorse, perché senza risorse non possiamo mettere in sicurezza il territorio. Le risorse devono essere dirottate verso la lotta al dissesto idrogeologico.

Anche se i cambiamenti climatici hanno accelerato il processo, dobbiamo iniziare ad agire con urgenza. Dobbiamo investire in lavori pubblici di qualità per sistemare il territorio, non per allargare le autostrade, che al momento servono solo al traffico di merci. Purtroppo, lo vediamo chiaramente: non è stato fatto nulla per mettere in sicurezza il territorio nemmeno dopo l’alluvione di 16 mesi fa. Mentre i cantieri per grandi opere inutili continuano, gli interventi necessari per la sicurezza del territorio vengono trascurati.

  • Sul tema della cementificazione, il sindaco di Bologna Lepore ha palesato la necessità – ad esempio -di mettere mano alla legge urbanistica regionale, ormai datata. Concorda? Quale sarebbero i punti importanti da modificare e le novità da introdurre?

La legge del 2017, quando fu creata, già presentava errori di merito e di metodo. Già allora molte realtà politiche, sociali, sindacali, gruppi ambientalisti e urbanisti avevano sollevato critiche, segnalando che qualcosa non funzionava o avrebbe creato problemi. Tuttavia, la Regione non li ha ascoltati e ha portato avanti la legge senza considerare le parti sociali più critiche, con il risultato che abbiamo visto: un aumento del consumo di suolo.

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Credo che Lepore stia facendo un’autocritica elettorale, perché negli ultimi dieci anni non abbiamo mai sentito una parola contraria da parte sua. Ora, a ridosso delle elezioni, il “mea culpa” e “millantata umiltà” sembrano convenienti, ma non cancellano quanto accaduto. Cosa va modificato? Politicamente, per noi, la legge deve essere completamente rispedita al mittente. Se entriamo negli aspetti tecnici e politici, il problema principale è che questa legge ha introdotto un paradigma basato sulla deroga e sulle compensazioni territoriali, permettendo alla logistica di espandersi e cementificare senza alcun controllo. Ravenna è diventata la seconda città in Italia per consumo di suolo, dietro solo a Roma, e questi sono dati ISPRA, quindi oggettivi. La legge va modificata radicalmente.

Purtroppo, vediamo che la tendenza va in direzione opposta. Anche se c’è autocritica elettorale, abbiamo visto esultare sia De Pasquale che Ugolini per le zone logistiche semplificate nella provincia di Parma, introdotte dal governo. Queste aree semplificano la possibilità di fare impresa per le multinazionali, quindi temiamo che l’autocritica sia solo un’operazione elettorale.

Per quanto riguarda il metodo, propongo un’ampia istruttoria pubblica, coinvolgendo ambientalisti, sindacati e urbanisti, per lavorare insieme su una nuova legge. Non dovrebbe essere una legge sull’urbanistica, ma sul territorio, perché l’idea stessa di una “legge urbanistica” fa pensare solo al consumo di suolo. Quello che serve è una legge che tuteli il territorio.

  • Come valuta la scelta di Bologna sulla città 30? Pensa possa essere un modello esportabile su più larga scala in Regione?

Se mi permette una battuta, vorrei che Bologna fosse una “città a 10”, dove nessuno lavora per meno di 10 euro l’ora, perché questo è un problema reale nella nostra città. Quando si parla di Bologna a 30, non si può ignorare il tema del trasporto pubblico. C’è una carenza di autisti per le aziende pubbliche come Tper, e la ragione principale è che sono sottopagati. I giovani della nostra generazione vengono assunti con contratti di apprendistato, pagati meno e, di conseguenza, non riescono nemmeno a trovare casa. Senza personale adeguato, il trasporto pubblico non funziona e parlare di Bologna come “Città 30” diventa solo greenwashing.

Per rendere la “Città 30” una realtà, bisogna prima assumere autisti pagati con salari dignitosi, potenziare il trasporto pubblico e rendere i servizi più accessibili. Questo significa non solo migliorare le connessioni tra periferia e centro, ma anche tra i vari anelli della periferia, perché le persone non usano il trasporto pubblico solo per andare in centro, ma anche per lavorare. Dobbiamo abbassare il prezzo del biglietto: se una persona guadagna 4 euro l’ora e il biglietto andata e ritorno costa 1,50 euro, finisce per spendere più di un’ora di lavoro solo per spostarsi. C’è qualcosa che non va nel nostro sviluppo economico.

Inoltre, parlare di “Bologna Città 30” mentre si costruisce la più grande nodo autostradale d’Italia, tra tangenziale e autostrada, attorno a Bologna, sembra una pura operazione di greenwashing. Io sarei favorevole a una città più lenta, anche per questioni di sicurezza, ma solo quando avremo un trasporto pubblico davvero efficiente. Prima dobbiamo fermare il Passante, potenziare radicalmente il trasporto pubblico come è stato fatto in altre città europee, dove in alcuni casi è anche gratuito. Solo allora, tra dieci anni, potremo parlare seriamente di Bologna come “Città 30”.

  • Il tema sicurezza nelle città è molto sentito. La Regione come può lavorare in questo senso?

Ogni governo ha sempre varato un decreto sicurezza, ma nessuno di questi ha mai realmente portato maggiore sicurezza. Lo vediamo anche adesso con l’ultimo dibattito alla Camera e al Senato. Lepore ha siglato un accordo con Piantedosi, lo stesso che sta promuovendo un decreto sicurezza contestato dalle sinistre, il quale non aumenta la sicurezza ma favorisce la militarizzazione delle città, spostando le sacche di disagio e sofferenza in altre aree. Pensiamo all’omicidio di un ragazzo senza dimora in piazza XX Settembre: il vero tema è quale risposta sociale diamo alla marginalità.

Il Comune, lo stesso che quest’estate ha tagliato i fondi per le strutture di emergenza destinate alle persone fragili, non sta affrontando la radice del problema. Se non offriamo risposte sociali adeguate alle persone in difficoltà, queste situazioni si riverseranno inevitabilmente nelle città. Oggi, la sicurezza è vista solo in relazione alle forze dell’ordine, perché non si vuole investire nella sicurezza sociale.

Una delle maggiori insicurezze, che spesso non viene considerata, è legata al lavoro. Può sembrare un tema diverso, ma andare a lavorare e tornare feriti per incidenti o, peggio, non tornare affatto perché si muore sul posto di lavoro, è un problema di sicurezza. Anche la questione delle alluvioni è una questione di sicurezza molto più rilevante della microcriminalità. Le persone perdono la casa per le piogge intense, mentre non si fa nulla per prevenire queste tragedie.

  • Infrastrutture e trasporti. Quali le scelte che contesta maggiormente e i suoi piani per migliorare sotto questo aspetto?

Il problema è che, a causa della legge urbanistica regionale, si è favorito un modello di rigenerazione urbana che, nonostante sembri trasmettere un messaggio positivo, è stato in realtà un grimaldello per la speculazione edilizia. Oggi, invece di dare priorità alla necessità abitativa, si continua a costruire nuovi edifici mentre migliaia di alloggi, sia pubblici che privati, rimangono sfitti. Questa è una contraddizione insostenibile, soprattutto in una regione che produce ricchezza ma non la distribuisce equamente. Per quanto riguarda le infrastrutture, è necessario mettere in atto un vero e proprio piano casa utilizzando il patrimonio abitativo esistente. Bisogna fermare tutte le opere di rigenerazione urbana che favoriscono la rendita speculativa a scapito del reddito da lavoro. È necessario un piano che si concentri sulla residenzialità pubblica, non sulla cosiddetta “edilizia sociale” che, con l’inserimento del privato, finisce per avere prezzi troppo alti a causa del profitto. Dobbiamo invece riutilizzare strutture già esistenti, come le caserme, per creare alloggi e servizi, evitando la costruzione di nuovi quartieri, come spesso proposto.

  • Welfare e inclusione sociale. Quali strategie intende adottare per supportare le famiglie, gli anziani e le fasce più vulnerabili della popolazione?

Sul fronte del welfare e dell’inclusione sociale, è necessario elaborare un piano che riporti gradualmente al settore pubblico molti servizi che oggi sono stati appaltati al privato. Attualmente, molti asili nido e servizi di integrazione scolastica e disabilità sono gestiti da cooperative. Queste cooperative competono tra loro, spesso anche da fuori regione, per accaparrarsi fette di welfare pubblico, finanziato con i soldi dei cittadini, e producono profitti per le cooperative stesse, ma salari bassi e precarietà per i giovani lavoratori. Dobbiamo invertire questa tendenza e riportare progressivamente la gestione pubblica di tutti quei servizi che sono stati concessi al privato. Oggi, la direzione è opposta: vediamo biblioteche e altri servizi pubblici gestiti dalle cooperative invece che dal comune. Anche se non si può cambiare tutto in un giorno, è fondamentale avere questa visione a lungo termine. Per quanto riguarda l’inclusione sociale, la priorità è garantire un alloggio a chi ne ha bisogno. A Bologna, dobbiamo usare ogni mezzo necessario, proprio come si fa per espropriare terreni per progetti come il Passante, per requisire alloggi sfitti e grandi proprietà immobiliari, sia private che pubbliche. Questi immobili devono essere utilizzati per un piano casa immediato che risponda alle urgenze abitative della città.

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  • Crisi abitativa. Quali i provvedimenti necessari per affrontare la questione?

La requisizione degli alloggi sfitti è una misura necessaria per dare casa ai lavoratori e lavoratrici che oggi, nonostante lavorino a Bologna, non riescono a trovare un alloggio. Contestualmente, la Regione deve introdurre un tetto agli affitti: non è accettabile che il mercato degli affitti sia così libero e fuori controllo. Inoltre, il problema di Airbnb non può essere solo evocato, deve essere affrontato senza esitazioni. Dobbiamo utilizzare tutti gli strumenti tecnici a disposizione per impedire ad Airbnb di operare in città, perché contribuisce all’aumento dei prezzi degli affitti e riduce la disponibilità di alloggi.

  • Emily Clancy non sta facendo abbastanza per risolvere il problema?

La vicesindaca Emily Clancy non ha fatto abbastanza per risolvere la crisi abitativa. Questo problema è stato sollevato già dieci anni fa, con le prime occupazioni abitative da parte di lavoratori precari. Nonostante piccoli progetti siano stati avviati, non hanno restituito un numero sufficiente di abitazioni alle persone. Serve un vero cambio di paradigma: requisizioni, tetti agli affitti e una lotta contro la speculazione e le grandi proprietà immobiliari. È un’emergenza che va risolta immediatamente, e il giudizio sull’assessore alla casa è insufficiente. C’è tanta politica e poca comprensione delle reali contraddizioni vissute da chi affronta questi problemi.

  • Che ne pensa delle occupazioni e l’aumento delle pene incluse in questo decreto sicurezza?

Questo “decreto sicurezza”, che in realtà è un decreto di repressione, ha radici nei primi decreti Minniti che hanno criminalizzato migranti e lotte dei lavoratori, e si fonda anche sulla legge Lupi e Renzi, che colpiva chi occupava una casa, negandogli la possibilità di avere la residenza e quindi l’accesso a diritti essenziali, come il medico di base. L’occupazione, invece, è uno strumento di denuncia per evidenziare che ci sono lavoratori senza casa e case senza lavoratori. Serve una pedagogia delle parole: io, come molti altri, ho occupato stabili, non case. Abbiamo liberato edifici dalla speculazione edilizia, trasformandoli in abitazioni per lavoratori. Questa è la realtà delle lotte per la casa, non la competizione per l’occupazione di alloggi, ma il recupero di proprietà abbandonate, sia pubbliche che private, per restituirle alla collettività.

  • La vostra coalizione riunisce tre forze storiche della sinistra radicale. Pur non essendo sempre allineati in passato, quali sono le tematiche principali che vi uniscono in questa occasione? Quali quelle sulle quali dovrete maggiormente lavorare invece per trovare una intesa?

Il piano casa, la questione del lavoro, l’ambiente e il tema della guerra sono i quattro assi principali della nostra coalizione. Siamo contrari all’invio di armi e alla co-belligeranza con Israele, e sosteniamo la difesa della Palestina. La nostra posizione è chiara: la guerra riguarda ogni latitudine e contesto, e dobbiamo promuovere una cultura di pace in tutti gli ambiti politici e sociali. Questi quattro pilastri uniscono una coalizione composta da partiti differenti, che hanno scelto di candidare una persona esterna ai loro ranghi, proveniente dalle lotte sociali, per rappresentare al meglio questi temi fondamentali. La campagna elettorale affronterà sicuramente altre specificità, ma sarà sempre fondata su questi quattro principi: pace, ambiente, lavoro e giustizia sociale.

Nicola Maria Servillo (BolognaToday)



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