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Un testa a testa Harris-Trump #finsubito prestito immediato




Kamala Harris o Donald Trump? Un esito incerto che vede una sostanziale parità tra i due candidati e che si giocherà sulla capacità di far breccia, negli ultimi giorni prima del voto del 5 novembre, nelle fasce di elettorato che non sono riuscite a convincere durante gli ultimi mesi di campagna elettorale. L’unica certezza, al momento, è che chiunque salirà alla Casa Bianca non lo farà promettendo prudenza fiscale. La campagna elettorale è infatti stata caratterizzata da una scarsa attenzione ai temi economici. Molta enfasi è invece stata data «all’immigrazione, alla giustizia sociale e al linguaggio contro le minoranze», spiega Riccardo Puglisi, economista e docente di scienza delle finanze all’Università di Pavia. La poca attenzione all’economia è dovuta secondo Puglisi a due motivi. Il primo è che il «tasso di crescita degli Usa, contrariamente a quello dell’Unione europea, è elevato». Questo è un fattore importante perché, anche se il debito dovesse aumentare, la crescita del pil «andrà a calmierare questo rapporto». Il secondo è che il «dollaro rimarrà una valuta di riserva internazionale, rendendo di conseguenza molto più facile piazzare i titoli». Due aspetti che rendono i «repubblicani e i democratici abbastanza sereni sul tema del debito» e che spiegano anche perché durante la campagna elettorale e il dibattito tra Trump e Harris non se ne sia mai parlato, se non soltanto due volte. Lato mercati finanziari la situazione è invece stabile, con questi che, secondo Puglisi, «prezzano una vittoria di Trump». Perturbazioni potrebbero esserci se si dovesse verificare, invece, una seconda Capitol Hill.

Sì alle disuguaglianze se cresce il pil. Harris e Trump faranno dunque aumentare il debito degli Usa, che attualmente è pari al 99% del pil e si prevede che arriverà al 102% all’inizio dell’anno fiscale 2025 e al 125% entro la fine del 2026, stando all’attuale base legislativa dettata dal Congressional Budget office. Trend che farà sì che il debito supererà il suo record del 106% stabilito nel 1946, subito dopo la seconda guerra mondiale, in soli tre anni. Secondo infatti il Committee for a Responsible Federal Budget, organizzazione bipartisan senza scopi di lucro che si occupa del bilancio federale e delle questioni fiscali, il piano della vicepresidente Harris potrebbe far aumentare il debito tra i 3 e gli 8,30 trilioni di dollari fino al 2035, mentre quello di Trump lo aumenterebbe tra 1,65 e i 15,55 trilioni di dollari. Numeri mostruosi, che molto spesso sono legati, soprattutto nel caso di Trump, a politiche economiche aggressive, che possono anche andare ad aumentare le disuguaglianze tra la popolazione. Aspetto che però non impressiona più di tanto gli americani visto che, per loro natura, sono maggiormente disposti ad accettare un aumento della disuguaglianza se il fine ultimo è quello di far crescere sempre di più l’economia. Una visione che per noi europei è difficile da condividere, dato la nostra attenzione quasi maniacale a questi temi.

Il programma elettorale di Harris e Trump. Harris durante la sua campagna elettorale è stata rimproverata dallo stratega democratico di non discostarsi particolarmente dal programma del presidente Joe Biden, non mostrando le sue idee e soprattutto la sua personalità. D’altra parte «Harris è stata molto nascosta durante il mandato di Biden e non è un candidato particolarmente forte per i democratici», sottolinea Puglisi. Le proposte economiche della vicepresidente ricalcano dunque quelle di Biden, sia per quanto riguarda l’aumento delle tasse sulle grandi imprese e i paperoni americani, che guadagnano 400.000 dollari l’anno, che per il clima. L’unica variazione sul quest’ultimo riguarda l’aver abbandonato la sua opposizione al fracking, una tecnica per estrarre il gas e petrolio non amata dagli ambientalisti. Stessa poca fantasia anche per i temi di stampo puramente economico, come il voler vietare la speculazione sui prezzi dei generi alimentari e l’aiutare chi acquista la prima casa fornendo degli incentivi. Un po’ più di brio sul tema pro-aborto, che è stato messo al centro della sua campagna elettorale e sul crimine. Harris ha infatti cercato di contrapporre la sua esperienza come pubblico ministero al fatto che Trump è stato dichiarato colpevole di 34 capi d’accusa riguardanti la falsificazione di registri aziendali. In difficoltà, la Harris, risulta invece essere sul tema dell’immigrazione, visto che da vicepresidente aveva l’incarico di affrontare questo problema, ma alle fine del 2023 si è registrato un numero record di persone che hanno attraversato il confine. Da allora, i numeri sono diminuiti ma questo record in negativo l’ha segnata.

Da parte sua Trump ha sicuramente più inventiva e propone misure nell’ottica dell’America First e in chiave anticinese. Per quanto riguarda il fisco, Trump vuole riproporre un’estensione dei tagli fiscali messi in atto nel 2017 e che scadono nel 2025: meno tasse per le aziende (dal 21 al 15%), i super ricchi e abolire l’imposta sulle mance. I fondi per finanziare queste misure Trump li vuole trovare ottenendo una crescita maggiore dell’economia e mettendo tariffe sulle importazioni provenienti dall’estero. L’idea è infatti quella di imporre dazi tra il 10 e il 20% sulla maggior parte dei beni esteri. Sempre lato economico Trump ha promesso di «porre fine all’inflazione e di rendere l’America di nuovo grande», abbassando i tassi di interesse. Potere che non è nelle mani del presidente. In difficoltà è invece sul tema dell’aborto, sul quale non ha ancora trovato un messaggio coerente. Sull’immigrazione ha riportato in auge l’obiettivo di completare il muro con il Messico.

Quali ripercussione per l’Unione europea. Se dovesse vincere Trump si aprirebbero due temi. Il primo la guerra Russia-Ucraina e il secondo l’economia nell’Unione europea. Sulla questione Ucraina, Trump ha detto più volte di voler mettere la parola fine alla guerra e conta su un approccio più interventista rispetto a Harris. Questo potrebbe essere un punto a favore per l’Ue se il Tycoon dovesse riuscire a mettere in piedi un accordo di pace tra Russia e Ucraina. Negativo se invece decidesse di chiudere il rubinetto della politica di aiuti che Washington ha finora dato a Kiev. Secondo un report di Goldman Sachs, per compensare il calo dei sussidi degli Usa, l’Ue dovrebbe investire 80 miliardi di euro in più rispetto a quello che fa oggi.

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Rimanendo sul filone negativo, l’aumento dei dazi fino al 12,5%, contro le merci provenienti dall’Ue, potrebbero farci particolarmente male. Sul tema, ricorda la professoressa della Luiss, Veronica De Romanis, è intervenuta anche il presidente della Bce, Christine Lagarde che ha affermato come «il commercio equo è qualcosa che non dobbiamo buttare via». Inoltre, l’imposizione di dazi innescherebbe il circolo del «protezionismo e questo provocherebbe delle pressioni anche sull’inflazione», sottolinea De Romanis. Focalizzandoci sull’Italia, l’ipotesi di nuovi dazi, è un tema molto delicato visto che gli Stati Uniti sono il secondo mercato di sblocco per i prodotti made in Italy (10,7%). Non bene neanche sul fronte difesa comune, visto che l’Ue non riesce a trovare una quadra sui fondi da destinare al progetto. Le parole di Trump, in questo senso, ci devono far preoccupare: Se l’Ue dovesse essere attaccata«dalla Russia non li proteggerò», anzi, «incoraggerò i russi a fare il diavolo che vogliono loro»se i paesi della Nato non spendono il 2% del pil in difesa. L’Italia è uno dei pochi paesi dell’alleanza che non sono ancora al 2% e per arrivare a questa percentuale dovrebbe mettere a budget altri 10 miliardi di euro solo per la difesa, all’interno della Manovra 2025. Missione impossibile. Harris, da parte sua, ha invece un approccio molto più soft e cooperativo verso l’Ue e questo, lato economico potrebbe essere un bene. Sul fronte geopolitico restano invece aperte le questioni, non avendo un approccio interventista.



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