diGabriele Guccione
L’ex premier sugli effetti collaterali del Green Deal: «La questione non si risolve rimandando di quattro anni la messa al bando del motore a scoppio. L’industria dell’auto ha un futuro solo se incentivata»
«Io sono molto preoccupato, la questione non si risolve rimandando di quattro anni la messa al bando del motore a scoppio». Visto da Torino, l’ex città-fabbrica di Mirafiori e della Fiat, l’allarme sugli effetti collaterali del cosiddetto Green New Deal che Enrico Letta ha lanciato una settimana fa, presentando il suo rapporto sul mercato unico al Parlamento europeo, assume contorni ancora più definiti e inquietanti.
Presidente Letta, tutti in Europa parlano di transizione ecologica. Ma qui, dove si cominciano a fare i conti con la crisi di un modello produttivo superato, il Green New Deal rischia di essere percepito come una trappola dai costi sociali incalcolabili piuttosto che come una occasione di sviluppo: non trova?
«È proprio pensando a realtà come Torino che ho deciso di insistere su quella che per me è una necessità irrinunciabile: il Green New Deal deve restare una priorità ma non può essere un lusso che soltanto i più benestanti possono sostenere».
Basti pensare alle conseguenze che si stanno verificando sull’industria torinese per eccellenza: quella dell’auto…
«L’industria automobilistica ha un futuro soltanto se si costruisce un grande piano europeo di finanziamento della transizione. Senza questo piano, la situazione si farà preoccupante».
Per stilare il rapporto sul futuro del mercato unico che ha messo nelle mani di Ursula Von der Leyen e che la presidente della Commissione europea ha tradotto nel programma di legislatura, Letta ha fatto un viaggio di 9 mesi in 65 città europee, con 400 incontri. E lunedì 28 ha fatto tappa anche a Torino, questa volta non da premier o segretario del Pd, ma da professore e presidente dell’Istituto Delors, per presentare al Campus Einaudi le sue conclusioni agli studenti.
Quali sono, presidente, queste sue conclusioni?
«Non c’è oggi tema più importante che quello di come si finanzia la transizione ecologica. Nel rapporto che ho presentato propongo ai leader europei un piano di investimenti pubblici e privati basati sulla integrazione del mercato unico dei capitali, in modo da tenere i capitali in Europa e indirizzarli verso questo obiettivo primario: il finanziamento dei costi della transizione. Altrimenti sarà un grande boomerang sociale e politico».
Per l’industria dell’auto lei pensa a nuovi incentivi?
«Io penso che occorrano politiche forti anche di incentivazione: al cambio di competenze e alla trasformazione della domanda. Questo non riguarda soltanto l’industria dell’auto, ma i proprietari di case, che rischiano di perdere valore, e gli agricoltori».
Quanti soldi servirebbero?
«Non do cifre. La Commissione europea le ha quantificate in 600 miliardi di euro l’anno».
«Sì, è una cifra molto importante. Però è fattibile, non è impossibile».
«Usando i capitali privati con la soluzione da me proposta: l’unione dei risparmi e degli investimenti. La frammentazione dei mercati finanziari europei fa il gioco degli altri attori globali, Usa e Cina. Per questo, occorre arrivare a una integrazione reale, che non sia a beneficio del solo settore finanziario ma anche dei cittadini, e che ci consenta di svilupparci e garantire la nostra sicurezza».
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