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dopo Volkswagen anche Audi. Soffre Ford #finsubito prestito immediato


Il settore automotive in panne nella riconversione all’elettrico getta un’ombra pesante sulla ripresa dell’industria europea (e offusca le previsioni di crescita di quella americana) proprio mentre la Commissione Ue tira dritto e individua in Pechino un co-responsabile del malessere generale, facendo scattare in via definitiva i nuovi dazi fino al 35,3% per colpire le vetture a batteria a basso costo “made in China”. Uno sviluppo che minaccia di esasperare le tensioni commerciali con il gigante asiatico. Sullo sfondo Volkswagen, che per la prima volta nella sua quasi centenaria storia ha deciso di chiudere tre stabilimenti nella natìa Germania finendo per far traballare persino il governo federale. La mossa non è rimasta isolata: sui suoi passi si è mossa a strettissimo giro Audi, che dal gruppo tedesco è controllata. 

IN SALITA

L’azienda ha comunicato ai sindacati l’intenzione di fermare, a fine febbraio, lo stabilimento di Bruxelles, che impiega circa 3mila persone ed è attivo nella produzione esclusivamente dei suv elettrici Q8 e-tron. La scelta, determinata da una debole domanda, è ancora più simbolica, visto che ha come epicentro la capitale delle istituzioni europee che sulla transizione verso le auto a emissioni zero hanno scommesso politicamente.

Alcuni mesi fa Audi aveva già ventilato la chiusura dei battenti in Belgio a causa delle «difficili condizioni economiche», e ora sarebbe in contatto con un potenziale investitore che si occupa di veicoli aziendali e rileverebbe l’impianto per destinarlo alla produzione di bus o camion. Nonostante i tanti dolori, la crisi del comparto auto non rimane circoscritta alla sola Europa: anche sull’altra sponda dell’oceano Atlantico sigle storiche non sorridono, come Ford, che ha tagliato le previsioni di guadagno per l’anno in corso, citando l’aumento dei costi e le interruzioni nelle forniture dovute ai recenti uragani negli Usa. 

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La casa di Detroit prevede circa 10 miliardi di dollari di utili nel 2024, in calo rispetto alla stima precedente compresa tra i 10 e i 12; dopo l’annuncio, il titolo ha lasciato a terra il 9% in apertura di seduta a Wall Street. Tra oggi e domani toccherà a Volkswagen e Stellantis alzare il sipario sui rispettivi conti, che si preannunciano poco lusinghieri.

Ed è in questo contesto che, ieri, come ampiamente anticipato, la Commissione europea ha chiuso la sua indagine sulle sovvenzioni anticoncorrenziali concesse dalla Cina alla filiera nazionale dell’auto elettrica, adottando definitivamente dazi compensativi che si sommano a quelli già esistenti pari al 10%, per un valore massimo di oltre il 45%. Pubblicate ieri sera in Gazzetta ufficiale, le tariffe sono effettive da oggi, giorno in cui cominceranno i prelievi alla dogana: le aliquote – invariate rispetto all’ultima bozza che aveva visto i governi spaccarsi in tre blocchi tra favorevoli (Italia e Francia), contrari (Germania e Ungheria) e astenuti (Spagna) – saranno pari al 35,3% per Saic e per le aziende che non hanno collaborato all’inchiesta, al 18,8% per Geely, al 17% per Byd e al 7,8% per Tesla; del 20,7%, infine, per tutte le sigle che hanno cooperato nell’indagine. Le trattative con Pechino per raggiungere una soluzione negoziale, però, continuano, assicurano da Bruxelles, mentre crescono i timori per una vendetta cinese su altri comparti, come l’export agroalimentare: un’eventuale fumata bianca nel quadro del Wto porterebbe l’esecutivo Ue a riscrivere il regolamento appena entrato in vigore. 

LA RECESSIONE

E in Germania, dove secondo ultimissime stime di esperti nel 2025 si rischia la recessione per il terzo anno consecutivo, la crisi dell’auto – con l’ipotesi taglio di 190mila posti fino al 2035 – si fa anche politica, con il cancelliere Olaf Scholz, il ministro delle Finanze Christian Lindner e dell’Economia Robert Habeck che vanno ciascuno per la propria strada, anticipando le rispettive campagne per le elezioni dell’anno prossimo. A proposito di Volkswagen, Scholz – che ieri ha convocato un vertice degli industriali alla cancelleria – aveva detto in una prima reazione che i posti di lavoro devono essere mantenuti e, tramite il suo portavoce, che a pagare «per le passate scelte sbagliate del management non possono essere i lavoratori». Habeck per primo, la settimana scorsa, aveva lanciato la proposta di un “Fondo per la Germania”, un programma di aiuti alle aziende in misura dei loro investimenti. Ogni sigla – giganti o startup – riceverebbe dallo Stato un sussidio del 10% del volume degli investimenti, eccezion fatta per quelli negli immobili. Quanto alto sia il fondo, o se sia senza tetto massimo, non è stato precisato. 
 

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