Tribunale di Milano, sezione autonoma misure di prevenzione, decreto 22 ottobre 2024
Presidente estensore dott.ssa Paola Pendino, Giudici dott.ssa Giulia Cucciniello – dott.ssa Maria Profeta
1. Segnaliamo ai lettori, in tema di misure di prevenzione, un estratto del provvedimento con cui il Tribunale di Milano, in un recente caso di cronaca, ha disposto la misura dell’ amministrazione giudiziaria, ex art. 34 D. Lvo 159/2011, nei confronti di un istituto di credito.
La finalità dell’istituto dell’amministrazione giudiziaria – si legge nel decreto – «non è repressiva ma, piuttosto, preventiva, volta, cioè, non a punire l’imprenditore che sia intraneo all’associazione criminale, quanto a contrastare la contaminazione antigiuridica di imprese sane, sottoponendole a controllo giudiziario con la finalità di sottrarle, il più rapidamente possibile, all’infiltrazione criminale e restituirle al libero mercato una volta depurate dagli elementi inquinanti».
Sul piano del profilo soggettivo, «si chiede che il soggetto terzo (nel caso concreto una persona giuridica) ponga in essere una condotta censurabile quantomeno su un piano di rimproverabilità “colposa” – quindi negligente, imprudente o imperita – senza che ovviamente la manifestazione attinga il profilo della consapevolezza piena della relazione di agevolazione (tale ultimo caso, infatti, è ascrivibile nella cornice dolosa del diritto penale, ad ipotesi concorsuali o, quantomeno, favoreggiatrici)». Occorre, cioè, «che la condotta del “terzo” possa e debba essere censurata esclusivamente sul piano del rapporto colposo, che riguardi, cioè, la violazione di normali regole di prudenza e buona amministrazione imprenditoriale che la stessa società si sia data (ad esempio, efficace modello organizzativo, codice etico) o che costituiscano norme di comportamento esigibili sul piano della legalità da un soggetto, che opera ad un livello medio-alto nel settore degli appalti di opere e/o servizi».
2. Nel caso di specie, «l’organo proponente ha evidenziato che un sodalizio criminoso – composto da soggetti contigui a contesti ‘ndranghetisti – sarebbe risultato destinatario, per il tramite di plurime società allo stesso riconducibili, di importanti finanziamenti elargiti dall’istituto di credito, dal 2019 al 2023, per un ammontare quantificabile in circa 10 milioni di euro»; finanziamenti che sarebbero stati concessi «attraverso una gestione superficiale e sprovveduta da parte dell’istituto, che avrebbe totalmente abdicato le basilari procedure relative all’istruttoria dei finanziamenti, svalutando i rischi di credito, l’adeguata verifica della clientela e delle informazioni ad essa relative».
In altri termini, sarebbe emersa «l’incontestabile inefficacia dei sistemi di controllo interno dell’istituto di credito (con particolare riferimento ai comparti antiriciclaggio, credito e prevenzione ai sensi del D.Lgs. 231/2001) che avrebbe consentito a soggetti indagati per gravi delitti – anche aggravati dall’agevolazione della criminalità organizzata di tipo ‘ndranghetista – di accedere con facilità al sistema creditizio, contribuendo a realizzare quell’“agevolazione mafiosa” che i presidi di legalità a disposizione della banca, del tutto bypassati, dovrebbero arginare».
Sempre ad avviso della Procura, «il rispetto dei principi di sana e prudente gestione, da parte di un istituto bancario così strutturato, avrebbe imposto di valutare, dinanzi alle criticità emerse, l’assunzione di iniziative e/o interventi volti alla mitigazione del rischio» e problemi riguarderebbe, anzitutto, il profilo organizzativo, dovendosi «rimuovere quelle “situazioni tossiche” che hanno creato l’humus favorevole perché un istituto di credito si trasformasse in un ambiente ad elevato tasso di illegalità, non potendosi certo pensare che il quadro delineato possa essere spiegato “facendo esclusivamente riferimento alla personalità perversa di singole persone” (Braithwaite)».
E nemmeno – osservava sempre la Procura – «si può ragionevolmente pensare che il problema possa essere risolto solo rimuovendo le figure apicali della banca, senza nulla mutare del sistema organizzativo; inalterata l’organizzazione, “i nuovi venuti” si troverebbero nelle medesime condizioni dei loro predecessori e il sistema illecito sarebbe destinato a perpetuarsi. In altri termini, ad una logica disposizionale, centrata sulla colpa della persona, è necessario sostituire (o comunque affiancare) una logica situazionale, che attribuisce rilevanza al contesto, che è fattore non certo indifferente nella genesi delle condotte umane. Quel che infatti emerge dalla attività investigativa è che nell’istituto vi è una sorta di cultura di impresa, cioè un insieme di regole, un modo di gestire e di condurre l’azienda, un contesto ambientale intessuto di convenzioni anche tacite, radicate all’interno della struttura della persona giuridica, che hanno di fatto favorito la perpetuazione degli illeciti».
In altri termini – si evidenziava sempre nella richiesta di applicazione della misura – «si è disvelata una prassi illecita così radicata e collaudata, da poter essere considerata inserita in una più ampia politica d’impresa diretta all’aumento del business. Le condotte investigate non paiono frutto di iniziative estemporanee ed isolate di singoli, ma di una illecita politica di impresa. Si dà vita, così, ad un processo di decoupling organizzativo (letteralmente: “disaccoppiamento”), in forza del quale, in parallelo alla struttura formale dell’organizzazione volta a rispettare le regole istituzionali (codici etici, modelli organizzativi, che però hanno una funzione meramente cosmetica), si sviluppa un’altra struttura, “informale”, volta a seguire le regole dell’efficienza e del risultato. In questo modo, la costante e sistematica violazione delle regole genera la normalizzazione della devianza, in un contesto dove le irregolarità e le pratiche illecite vengono accettate ed in qualche modo promosse, in quanto considerate normali».
3. La richiesta della Procura è stata accolta del Tribunale, ad avviso del quale sarebbe effettivamente emersa «la realizzazione da parte dei beneficiari dei finanziamenti di condotte illecite – accertate dai procedimenti giudiziari ancora in fase di indagini o già conclusi – agevolative tanto a vantaggio dei diretti interessati che della consorteria ‘ndranghestista di riferimento».
Ciò integrerebbe i presupposti per l’applicazione della misura, essendosi in presenza di «una condotta agevolatoria funzionale a realizzare una massimizzazione dei profitti, anche a costo di instaurare stabili rapporti con soggetti inseriti a pieno titolo in circuiti criminali di rilevante spessore e contigui a realtà mafiose».
Più in particolare, secondo i giudici, «il denaro ottenuto è stato distratto dalla sua primaria finalità – per come rappresentata nelle richieste di finanziamento – per essere cannibalizzato dalla compagine criminale che ne ha ricavato ingenti guadagni» e la concessione dei finanziamenti «ha palesato l’assoluta inadeguatezza dell’intera filiera bancaria che ha abdicato o totalmente pretermesso le minimali regole di diligenza e prudenza che disciplinano i rapporti finanziari di qualsivoglia natura e genere».
Ad avviso del Tribunale, coglie, dunque, nel segno l’organo proponente laddove parla di “massimizzazione del business”, attraverso un meccanismo che «è stato colposamente alimentato dall’istituto di credito che non ha adeguatamente verificato le credenziali dei richiedenti il prestito tanto sotto il profilo della reale capacità imprenditoriale delle società (nemmeno vi era coincidenza tra quanto dichiarato e quanto rilevato in occasione dei sopralluoghi di cui si dà conto) che dei singoli soggetti».
L’istituto – si legge nel decreto – non avrebbe «mai effettivamente azionato le doverose verifiche» e sarebbe «rimasto inerte pur a fronte delle sollecitazioni e raccomandazioni di Banca d’Italia e UIF, omettendo di assumere iniziative di tipo correttivo/risolutivo, con ciò realizzandosi, quantomeno sul piano di rimprovero colposo determinato dall’inazione e dalla negligenza della società, quella condotta agevolatrice richiesta dalla previsione dell’art. 34 D.Lgs. 159/2011 per l’applicazione della misura di prevenzione dell’amministrazione giudiziaria».
4. In conclusione, «avuto riguardo allo specifico settore nel quale sono emerse le criticità e procedendosi nei confronti di un’impresa pienamente operativa ed avente non modeste dimensioni, il Tribunale ha ritenuto di modulare la misura in modo da assicurare il controllo da parte del Tribunale sugli organi gestori – per esempio per sostituire i componenti della governance e degli organi di controllo, ove necessario, e per adeguare i presidi di controllo interno –, nel contempo lasciando il normale esercizio di impresa in capo agli organi di amministrazione societaria»: in particolare, «l’intervento dell’amministratore, ove possibile d’intesa con gli organi amministrativi della società, dovrà essere finalizzato, secondo le attività specificatamente riportate nella parte dispositiva, ad adottare un modello organizzativo previsto dal D.Lgs. 231/2001 idoneo a prevenire il ripetersi di situazioni analoghe a quelle verificatesi e a rafforzare i presidi di controllo interno e quelli relativi alle verifiche e alla risoluzione delle criticità».
Tra i compiti dell’Amministratore Giudiziario – il quale sarà chiamato ad «esprimere una valutazione circa l’atteggiamento assunto dalla società dopo l’adozione del provvedimento di prevenzione, considerando se la procedura, grazie soprattutto alla fattiva collaborazione della società, abbia portato all’adozione di provvedimenti utili a prevenire fatti come quelli accertati, anche attraverso una rivisitazione degli assetti organizzativi interni rapportati alle carenze riscontrate» – anche quello di «verificare le procedure relative alla istruttoria dei finanziamenti, con particolare riferimento a quelli garantiti dallo Stato ed Istituzioni o Enti Pubblici, monitorando l’assetto organizzativo societario con particolare riferimento alla idoneità dello stesso a presidiare i rischi di credito, operativi e di compliance», quello di «verificare i processi e le procedure AML con particolare riferimento alle idoneità delle stesse ad assicurare l’adeguata verifica della clientela e la conservazione dei dati ed informazioni, fornendo supporto per l’implementazione degli stessi» nonché quello di «analizzare e monitorare i contratti di agenti e società di mediazione creditizia al fine di predisporre adeguate misure per un controllo di compliance della adeguata verifica della clientela e della sussistenza dei requisiti reputazionali ed economico-finanziari delle imprese da affidare».
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