Meloni contro i giudici, l’Emilia Romagna ferita dal maltempo, la frase choc di Salvini sul migrante ucciso dalla polizia a Verona |
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di
Luca Angelini |
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Il nuovo scontro fra la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e la magistratura corre via social. La premier, sotto il titolo «Meloni oggi è un pericolo più forte di Berlusconi. Dobbiamo porre rimedio», ha rilanciato ieri in un post quanto scritto, in una chat dell’Associazione nazionale magistrati, da Marco Patarnello, 62enne sostituto procuratore generale della Cassazione dopo un lungo trascorso da giudice nella capitale (da ultimo al tribunale di sorveglianza), già vicesegretario generale del Consiglio superiore della magistratura e aderente a Magistratura democratica, la corrente di sinistra dell’Anm. «Meloni non ha inchieste giudiziarie a suo carico e quindi non si muove per interessi personali ma per visioni politiche e questo la rende molto più forte, e anche molto più pericolosa la sua azione…», la frase riportata da Meloni. Che però, spiega Giovanni Bianconi, non andrebbe estrapolata dal contesto. Perché quelle parole di Patarnello (qui il testo integrale) «gli sono valse l’accusa di “eversione” e l’annuncio di interrogazioni parlamentari» nonostante il fatto che «la risposta alla critiche fosse contenuta nella stessa mail: “Non dobbiamo fare opposizione politica, ma difendere la giurisdizione e il diritto dei cittadini a un giudice indipendente. Senza timidezze”». Era un’esortazione, spiega Bianconi, all’Anm e soprattutto al Csm, che dopo un anno non ha saputo partorire un documento a tutela della giudice catanese Iolanda Apostolico, presa di mira per avere disapplicato una norma del «decreto Cutro» ritenuta in contrasto con la legislazione europea (e ora sottoposta al giudizio della Corte di Lussemburgo, segno che quei dubbi non erano così astrusi). «Dobbiamo pretendere che il Csm apra un dibattito e deliberi una reazione chiara e netta», ha scritto Patarnello. Quanto al «porre rimedio», nel testo di Patarnello si riferiva al fatto che «la magistratura è molto più divisa e debole rispetto ad allora (i tempi di Berlusconi al governo, ndr). E isolata nella società. A questo dobbiamo assolutamente porre rimedio. Possiamo e dobbiamo farlo. Quanto meno dobbiamo provarci. Sull’isolamento sociale non abbiamo il controllo ma sul tema della compattezza interna possiamo averlo». Bianconi fa anche notare che «nelle altre mail toghe di tutti i colori mostravano pari preoccupazione per le reazioni di Meloni e del ministro Nordio alle ordinanze romane; un dibattito tra “addetti ai lavori” sulle risposte più efficaci da dare a politici che accusano i magistrati di non collaborare col governo». «Questa pretesa è uno strafalcione istituzionale — ha spiegato ad esempio Stefano Musolino, procuratore aggiunto di Reggio Calabria e segretario di Md — perché compito dell’ordine giudiziario non è collaborare col potere esecutivo o legislativo bensì tutelare i diritti delle persone. Secondo ciò che prevedono le leggi nazionali e sovranazionali, a partire dalla Costituzione e dai Trattati europei. È ciò che ha sostenuto Patarnello a fronte di una presidente del Consiglio che evidentemente immagina una magistratura non più autonoma e indipendente bensì servente nei confronti di governo e Parlamento. Una visione pericolosa non per una corporazione, ma per i cittadini». Il deputato di Fdi Giovanni Donzelli è comunque andato all’attacco: «Le toghe rosse non ci fermeranno. Meloni è un problema per loro perché non è ricattabile. E vuole riformare la giustizia». E il vicepremier Antonio Tajani, leader di Forza Italia, intervistato da Virginia Piccolillo dice che «c’è un piccolo gruppo, una corrente che si chiama Magistratura democratica, storicamente legata all’allora partito comunista, che prima attaccava Silvio Berlusconi e ora attacca Meloni. Si lamentano del generale Vannacci, ma fanno la stessa cosa. Dicono che un generale non deve fare politica. Sono figlio di un generale dell’esercito. Non diceva nemmeno a noi per chi votava. Ma neanche un magistrato deve essere politicizzato. Come non esistono carabinieri di destra e carabinieri di sinistra». Poi, riferendosi all’altolà del Tribunale di Roma all’invio di migranti in centri in Albania — da cui è nato l’attacco di vari esponenti del governo ai magistrati — aggiunge: «Non sono i magistrati a dover decidere quali sono i Paesi sicuri. Il potere giudiziario non può invadere gli altri due». In verità, i giudici romani si sarebbero attenuti a una recente sentenza della Corte di giustizia europea che boccia la definizione di «Paesi d’origine sicuri» utilizzata dall’Italia per accelerare i rimpatri. «Una definizione — come aveva spiegato Gianluca Mercuri nella Prima Ora di martedì — che si basa su un concetto di sicurezza “parziale”, secondo cui Paesi come Bangladesh, Egitto o Tunisia non sono “sicuri” per minoranze vulnerabili come gli oppositori politici o le comunità Lgbtqi+, ma lo sono per la maggioranza della popolazione. Per la Corte di Lussemburgo, però, non è ammissibile escludere categorie di persone da questa definizione: un Paese o è sicuro per tutti o non lo è per nessuno». E Vittorio Manes, docente all’Università di Bologna e direttore della rivista Diritto di Difesa dell’Unione delle camere penali, sottolinea a Ilaria Sacchettoni che «in linea di principio, le sentenze della Corte di giustizia sono vincolanti, anche per una consolidata giurisprudenza della Consulta. Quindi l’aggiramento rappresenterebbe un inadempimento rispetto agli obblighi sovranazionali, che vincolano, in base alla Costituzione, tanto il giudice quanto, a monte, il legislatore». Quanto al fatto che dal Consiglio dei ministri, convocato in via urgente per oggi, dovrebbe uscire un decreto legge sui Paesi sicuri, una norma che verrebbe aggiornata periodicamente alle realtà politiche dei vari Paesi da cui provengono i migranti, Manes fa notare che «in ogni caso, il giudice — a cui la Corte di giustizia ha assegnato l’ultima parola — potrebbe sempre ritenere quella elencazione non corretta, o non puntualmente aggiornata, e decidere diversamente, se ha documentate ragioni per farlo: con una decisione sempre impugnabile nel merito, che attribuisce una notevole responsabilità al singolo magistrato. Ecco perché servirebbe una presa di posizione chiara e uniforme in sede europea. I giudici sono soggetti alla legge, e alla Costituzione, ed in questo caso hanno rispettato questo vincolo, assumendo una decisione tecnica, non politica. Una maggior chiarezza ed armonizzazione sulla normativa europea eliminerebbe asimmetrie». «Non è il solito derby tra politica e magistratura. Stavolta il conflitto è sui poteri dello Stato. Un nodo delicato che preannuncia uno scontro di sistema», aveva pronosticato, sul Corriere di sabato, Francesco Verderami. Ieri il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ricordato che «tra le istituzioni e al loro interno la collaborazione, la ricerca di punti comuni, la condivisione delle scelte sono essenziali». Quanto si sia lontani da quell’auspicio, lo sottolinea Carlo Verdelli nel suo commento: La verità è che il molto costoso (800 milioni di euro), e al momento fallimentare, caos albanese sta diventando il pretesto per una ridefinizione dei confini non tanto tra Italia e resto del mondo, quanto all’interno dei poteri che garantiscono la nostra democrazia. Alcuni vertici dell’Esecutivo sono partiti lancia in resta contro la Magistratura, cioè il potere giudiziario, con toni e soprattutto argomenti che destano qualche preoccupazione. (…) Delle tante frasi altamente infiammabili ascoltate in questi giorni, la più ambigua, e insieme la più carica di sviluppi per la tenuta dell’architettura democratica di questo Paese, è quella che sottende tutte quelle fin qui riportate: «E comunque, alla fine, è il popolo sovrano che decide». E siccome il popolo sovrano ha votato in maggioranza per chi ha giurato di tenere alla larga dall’Italia il popolo stracciato e indesiderato di «barchini e barconi», la magistratura deve prenderne atto. Se la legge italiana, quelle europee e internazionali, non sono allineate al nuovo volere, si sta già lavorando per cambiare norme e codici. Intanto i giudici si adeguino per tempo, non ostacolino chi ha conquistato legittimamente il potere e quindi ha il dovere di mantenere le promesse fatte alla Nazione. La forzatura sulla questione albanese, in palese dispetto della normativa europea, potrebbe essere solo uno degli esperimenti all’interno di un disegno più grande. Disegno che sembra avere come fine una riconfigurazione degli equilibri su cui è nata la Patria democratica: invece di governare per tutti, come Costituzione vorrebbe, chi vince le lezioni prende tutto e redistribuisce gli altri poteri, Legislativo e Giudiziario, rimodellandoli in forma ancillare, ausiliaria, del potere primo, quello Esecutivo. Quanto al Presidente della Repubblica, ci penserebbe il premierato, per ora solo annunciato, a sminuirne il ruolo di garante, oltre che della Legge, anche dell’autonomia dei tre pilastri fondamentali del nostro ordinamento. L’Emilia Romagna flagellata dal maltempo È successo ancora, per la quarta volta in meno di un anno e mezzo. Ancora un’alluvione, ancora morti, ancora devastazioni. Ancora in Emilia Romagna. Scrive da Bologna l’inviato Riccardo Bruno: «Il sensore per misurare il livello del Ravone, uno dei torrenti che attraversano Bologna, era stato messo a 4 metri, un’altezza ritenuta sicura. Sabato sera l’acqua è salita così tanto, come mai aveva fatto prima, che l’ha spazzato via. Ha piovuto tantissimo, soprattutto sulle colline, poi l’acqua scendendo ha inondato anche la città: 175 millimetri in un giorno, due volte e mezzo quella che cade in tutto il mese di ottobre, 150 millimetri in appena sei ore. La piena del torrente Zena ha travolto a Botteghino di Zocca, frazione di Pianoro, l’auto in cui viaggiava Simone Farinelli, 20 anni, insieme al fratello maggiore che è riuscito a uscire dall’abitacolo. Il corpo senza vita di Simone è stato trovato ieri mattina». («L’ho tenuto fino a che ho potuto, ma a un certo punto… a un centro punto ho perso la presa. E non l’ho più sentito», racconta sconvolto il fratello Andrea a Federica Nannetti). Alla fine della giornata di ieri si contavano, nella regione, oltre 3.000 evacuati, con 8 fiumi sopra il livello di massima allerta. Oltre a Bologna, situazioni critiche a Bentivoglio, dove hanno evacuato 59 pazienti dall’ospedale, Budrio, Anzola, Castel Guelfo, Imola, Malalbergo, Baricella, e a Cadelbosco di Sotto, nel Reggiano. In due giorni tutta l’Italia è stata devastata da nubifragi e allagamenti. In Liguria è crollata parte della statale Aurelia all’altezza di Borghetto di Vara a La Spezia. Allagamenti anche in Calabria e in Sicilia, in particolare a Siracusa e soprattutto a Catania, dove una 28enne nigeriana, Angela Isaac ha salvato, trascinandolo in un bar, un motociclista travolto dall’acqua che aveva trasformato la strada in un torrente. L’analisi di Fabio Ciciliano, medico e poliziotto, il nuovo capo dipartimento della Protezione civile, sentito da Rinaldo Frignani, è sconsolante: «Il 95% del territorio nazionale è a rischio idrogeologico. Non c’è una regione dove è peggiore, un territorio più al riparo. L’Italia è un po’ tutta come l’Emilia-Romagna». Colpa, certo, anche di decenni di cementificazioni ed edificazioni sconsiderate. Che, di fronte a eventi meteorologici sempre più estremi, presentano il conto. «Siamo consapevoli che i fenomeni atmosferici si stanno modificando ma questo non accade con i nostri comportamenti», constata amaramente Ciciliano, spiegando che «non basta pulire gli alvei dei fiumi, serve un progetto di formazione individuale a quella che è la protezione civile e che deve cominciare fin dalla scuola elementare. È un fatto culturale, in modo da avere giovani che fra 15-20 anni avranno un bagaglio di conoscenze nella difesa del territorio che è un patrimonio di ritorno. Inoltre, costa molto meno che affrontare tutta una serie di emergenze». Il meteorologo Mattia Gussoni spiega che il ciclone che si è formato sul Tirreno nelle scorse ore è dovuto «sostanzialmente alle elevate temperature del Mediterraneo. (…) Un effetto dei mutamenti climatici, un dato accertato. Assistiamo ad ondate di calore in estate e subiamo eventi estremi soprattutto nelle stagioni intermedia. La maggiore umidità nell’atmosfera è il carburante di queste tempeste». Quanto all’Emilia Romagna, Gussoni spiega che paga anche il fatto di trovarsi «in un punto critico, perché ha la barriera appenninica che le fa da tappo. È come se le precipitazioni venissero sempre a bloccarsi. Si chiama effetto Stau: quando una realtà ha una barriera montuosa che non permette alla precipitazione di proseguire e scaricare ingenti quantità di acqua. La stessa cosa si verifica in Toscana e in Liguria». Oggi ancora allerta arancione su ampi settori dell’Emilia Romagna, sulla Lombardia meridionale e su settori centrali e meridionali del Veneto. Allerta gialla su Sicilia orientale, Calabria, settori ionici di Basilicata e Puglia, oltre che su restanti settori di Emilia Romagna, bacini sud occidentali della Lombardia e alcuni settori del Veneto. (Su Corriere.it, oltre agli aggiornamenti in tempo reale, trovate anche video e testimonianze dall’Emilia Romagna e da altre zone colpite dal maltempo) «Con tutto il rispetto, non ci mancherà. Grazie ai poliziotti per aver fatto il loro dovere». Così il vicepremier e leader della Lega Matteo Salvini ha commentato l’uccisione, davanti alla stazione ferroviaria di Verona Porta Nuova, di un immigrato maliano di 26 anni che, dopo una notte di danneggiamenti e violenze, ieri mattina si è scagliato, armato di coltello, contro un agente della polizia ferroviaria. Che ha esploso tre colpi di pistola, uno dei quali ha raggiunto al petto il giovane africano. Il senatore Franco Mirabelli, vicepresidente del gruppo del Pd, ha replicato a Salvini: «È un principio elementare di umanità non gioire per la morte di una persona, qualunque cosa abbia fatto, e vedere Salvini festeggiare per la scomparsa di un uomo è una vergogna per il nostro Paese, che lui dovrebbe rappresentare. Seminare odio fa male a tutti». Con una affluenza ai seggi di un milione e mezzo di persone, il 51,4% degli aventi diritto, il referendum moldavo per rendere ineluttabile il cammino europeista del Paese è valido. «Ma — scrive dalla capitale Chisinau l’inviato Marco Imarisio — quello era soltanto il primo passo. Quello che conta è l’esito e le sue conseguenze, affatto scontati in un Paese dove il trenta per cento della popolazione parla solo russo, dove si sono registrati per il referendum appena due dei dieci candidati al primo turno delle presidenziali che si svolgevano in contemporanea, dove Alexander Stoianoglu, probabile avversario dell’europeista Maia Sandu al ballottaggio, dichiara che il suo primo viaggio da presidente sarà in Transnistria (la regione indipendentista filorussa, ndr) e subito dopo a Mosca. I risultati parziali del voto referendario suggeriscono l’idea di un Paese diviso in due. Nostalgici o timorosi della Russia contro europeisti. Vecchi contro giovani. Campagna contro città. I dati che giungono dalle zone rurali sono disastrosi per il fronte pro-Bruxelles. Favorevoli all’ingresso in Ue al 44%, contrari al 56%. L’area metropolitana della capitale Chisinau quasi pareggia il conto dei voti espressi dai residenti in Moldavia. Alla fine, come sempre, potrebbero risultare decisivi i quasi 250.000 elettori della diaspora, preferenze che arriveranno da Usa, Canada, Romania e Italia. La presidente Sandu sognava una riconferma al primo turno e un ingresso in Europa reso più veloce da un plebiscito referendario. A quanto pare, non avrà né l’uno né l’altro. Il sogno europeo si scontra con la realtà di una Moldavia ancora incerta tra fiducia nell’avvenire e paura del passato». Come in Georgia, il rischio di uno «scenario ucraino», con Mosca decisa a riattirare nella propria orbita Paesi che sembravano ormai guardare a Bruxelles, non è affatto scongiurato. • Il maschilismo di chi non vuole una donna alla Casa Bianca, «è un grosso problema. Ed è per questo che penso che dobbiamo fare in modo che tutti coloro che conoscono bene Kamala Harris, come me, spieghino che sarà una buona presidente. Penso che sia più efficace dire alle persone: “Datele una chance, andrà benissimo e alla fine voi sarete orgogliosi di aver contribuito a renderlo possibile”». Così dice l’ex presidente Usa Bill Clinton a Viviana Mazza, che l’ha intercettato a un evento elettorale a Fayetteville (North Carolina). Alla domanda se quel maschilismo sia lo stesso con cui ha dovuto fare i conti sua moglie Hillary, Bill Clinton risponde: «Con Hillary c’era una più aperta ostilità, con Kamala Harris è meno esplicito». (Qui il reportage di Massimo Gaggi dal Michigan, Stato in bilico nel quale arabi e operai potrebbero voltare le spalle alla candidata democratica) • A Beit Lahia, uno dei primi villaggi della Striscia in cui le truppe israeliane sono entrate all’inizio dell’invasione via terra, un anno fa, un bombardamento nella notte tra sabato e ieri avrebbe ucciso quasi 90 palestinesi, secondo il ministero della Sanità di Gaza. Il corrispondente da Gerusalemme Davide Frattini testimonia che «l’uccisione di Yahya Sinwar, il capo dei capi fondamentalista, non rallenta l’offensiva che sta colpendo il nord della Striscia: l’esercito — che replica di stare indagando sul raid a Beit Lahia — vuole impedire che Hamas si riorganizzi, le truppe premono perché la popolazione lasci il territorio e si spinga verso sud, verso l’area umanitaria di Al Mawasi lungo la costa. Allo stesso tempo i generali sono consapevoli che il vuoto di potere in queste zone è stato creato dalla mancanza di una strategia per il dopo guerra — e il dopo Hamas — da parte di Benjamin Netanyahu». L’agenzia di stampa nazionale ufficiale del Libano (Nna) ha segnalato 11 attacchi ieri sera sui sobborghi meridionali di Beirut, molti dei quali hanno preso di mira le filiali di Al-Qard Al-Hassan, gruppo finanziario legato a Hezbollah. I cui miliziani ieri hanno lanciato altri 200 missili e razzi contro Israele. • In chiusura del G7 di Napoli dei ministri della Difesa, Guido Crosetto ha definito «un atto di grande peso politico e concretezza» il documento approvato a conclusione del summit, e si è soffermato sul «nostro fermo sostegno all’Ucraina» e sulla condanna «senza riserve dell’aggressione di Mosca, che ha scelto di adottare la violenza contro uno Stato sovrano, unitamente a metodi di guerra ibrida e a una irresponsabile retorica nucleare». Di fronte a tutto questo, ha aggiunto, «solo un forte impegno internazionale potrà condurre a una pace giusta e duratura», e perciò «continueremo a mobilitare il massimo supporto internazionale per l’Ucraina rafforzando il coinvolgimento di Paesi affini e cercando forme di cooperazione internazionale anche pratiche e sempre più efficaci». Sulla situazione in Medio Oriente Crosetto ha detto che i Sette sostengono «con forza la necessità di un cessate il fuoco immediato nella Striscia di Gaza, il rilascio di tutti gli ostaggi e un aumento significativo del flusso di aiuti umanitari per assistere la popolazione civile. Allo stesso tempo ribadiamo l’urgenza di trovare una soluzione politica che porti alla creazione di due Stati, garantendo sicurezza e stabilità sia per Israele che per il popolo palestinese». • A fare i sacrifici per la manovra di Bilancio 2025, ha detto il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, non saranno solo le banche. E alla vigilia tremano in molti, non solo i manager delle imprese private che rischiano penalizzazioni sulle stock options. La stretta alla spesa riguarderà tutta la galassia della pubblica amministrazione, che comprende imprese, autorità, istituti di ricerca, enti pubblici. E per la prima volta, tutte le migliaia di società, enti, fondazioni e associazioni che ricevono contributi dallo Stato. Agli amministratori e ai dirigenti della pubblica amministrazione, e a tutti i soggetti giuridici che ricevono fondi pubblici, si applicherà il nuovo tetto alla retribuzione, «onnicomprensivo» precisa il Tesoro, di 160 mila euro lordi annui, mentre le società dovranno tagliare spese di rappresentanza e di pubblicità. • In Campania si voterà solo il prossimo anno, ma il dopo De Luca, nella regione, sembra già cominciato. L’ex presidente M5S della Camera, Roberto Fico, già sente l’odore di investiture e mette le mani avanti: «Io sono abituato a rispettare le regole. Finché c’è la regola dello stop dopo due mandati nel mio partito non posso candidarmi. Se cambia vedremo». E potrebbe cambiare. Altro nome è quello del sindaco di Napoli Gaetano Manfredi (Pd), nonostante le smentite di rito. A far capire che la strada per un terzo mandato di Vincenzo De Luca alla testa dei dem è sbarrata è stata la segretaria del Pd Elly Schlein. Che giovedì in tv, a Piazzapulita, dopo aver ribadito la solidarietà ai «dirigenti del Pd ancora una volta insultati» (cioè Sandro Ruotolo, Stefano Graziano e Antonio Misiani), rispondendo a una domanda sul governatore campano aveva aggiunto: «Tutti sono utili, nessuno è indispensabile e nessuno è eterno». • Una dodicenne, presentasi all’appuntamento datole dal ragazzino di cui si era invaghita, sarebbe stata violentata da quest’ultimo e da altri due minorenni a Ruffano, nel Leccese. Due dei tre, indagati a piede libero per violenza sessuale aggravata, hanno 14 anni; il terzo, quello che ha dato l’appuntamento-trappola alla ragazzina, sedici. A denunciare l’accaduto ai carabinieri il padre della minore, dopo il racconto della figlia. • Sabato sera, durante Juventus-Lazio, Piracy Shield, la piattaforma anti «pezzotto» di Agcom creata per contrastare la pirateria televisiva, è intervenuta a bloccare non un sito illegale ma, per errore, Google Drive, la piattaforma di Big G utilizzata in tutto il mondo per salvare e condividere documenti online. Risultato, per circa quattro ore in Italia tantissimi utenti iscritti al servizio non sono riusciti a collegarsi al proprio profilo, oppure a scaricare file. Con un gol di Lautaro Martinez, l’Inter ha battuto la Roma per 1 a 0 all’Olimpico e rimane a due punti dal Napoli (1 a 0 sull’Empoli). L’Atalanta ha battuto per 2 a 0 il Venezia in trasferta, mentre il Cagliari ha ribaltato la partita con il Torino, vincendo per 3 a 2. Clamoroso il 6 a 0 rifilato fuori casa dalla Fiorentina al Lecce, fuori casa. Doppietta Ferrari al Gran Premio degli Stati Uniti di Formula 1, a Austin: primo Charles Leclerc e secondo Carlos Sainz, davanti a Max Verstappen che ha guadagnato punti preziosi su Lando Norris (che l’aveva superato, ma con una manovra giudicata scorretta, che gli è costata 5” di penalizzazione). Marc Marquez ha vinto il Gran Premio d’Australi di MotoGp, davanti al leader del Motomondiale Jorge Martin e a Pecco Bagnaia, ora staccato di 20 punti a sole tre gare dalla fine. Chi è più forte fra Jannik Sinner e Carlos Alcaraz? Gaia Piccardi prova a rispondere passando in rassegna i punti forti (tanti) e quelli deboli (pochi) dei due dominatori del tennis mondiale. «La strana normalità dei rifugi», il diario da Israele dello scrittore Eshkol Nevo. Il Dataroom di Milena Gabanelli e Simona Ravizza su chi guadagna davvero dalle agevolazioni fiscali. L’episodio, dal libro di Nicola Rao Il tempo delle chiavi, in cui Ignazio La Russa, sugli anni del delitto Ramelli, dice: «Volevano uccidere me» (ne scrive Aldo Cazzullo. L’editoriale di Lucrezia Reichlin su tassi, fisco ed energia: le politiche che vanno collegate. Il racconto di Giusi Fasano sull’assessora di Verona Marta Ugolini che, in conferenza stampa, si è tolta la parrucca usata durante la chemioterapia, per incoraggiare le donne a non avere paura. Nel podcast «Giorno per giorno», Giovanni Bianconi anticipa le prossime mosse del governo dopo la sentenza del Tribunale di Roma che non ha convalidato il trattenimento di 12 migranti nel centro in Albania. Guido Olimpio racconta della fuga di documenti negli Stati Uniti relativi a una possibile azione di Tel Aviv contro l’Iran. Olivio Romanini parla dei danni causati dalla pioggia eccezionale che sabato si è abbattuta su Bologna. Crudeltà verso gli animali, le pene severe indispensabili Caro direttore, Caro Bertolo, Grazie per aver letto Prima Ora e buona settimana (Questa newsletter è stata chiusa alle 3.15) gmercuri@rcs.it; langelini@rcs.it; etebano@rcs.it; atrocino@rcs.it |
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