Uliano (Fim): «Sull’auto Meloni ci ascolti. Ora serve un piano Paese» #finsubito prestito immediato

Dopo tanti “al lupo, al lupo”, ora – con Stellantis quest’anno sotto i 500 mila veicoli (meno di 300 mila auto, il dato peggiore dal 1956) e Volkswagen che annuncia chiusure di stabilimenti – l’emergenza nel settore auto è qui.

Quale è il primo problema?
«Gli ammortizzatori. Stanno finendo. Se il governo non li rifinanzia calcoliamo che circa 25 mila lavoratori perderanno il posto nel corso del prossimo anno. I primi a rischio sono i dipendenti dello stabilimento Stellantis di Pratola Serra, in provincia di Avellino, tra febbraio e marzo. A Melfi quando arriveranno le nuove produzioni elettriche previste nel 2025-2026 se non viene rifinanziata la cassa non ci saranno più i lavoratori. Lo stesso a Cassino dove il primo nuovo modello è atteso a fine 2025. E poi c’è il timore che le aziende del Nord fornitrici dei grandi marchi come Mercedes, Bmw e Volkswagen siano contagiate dalla crisi dell’auto tedesca».

Contro chi avete scioperato venerdì scorso? Stellantis? Il governo?
Da quando abbiamo iniziato a sollevare il problema, nel 2019, i governi italiani hanno soltanto stanziato incentivi per l’acquisto, non è stato affrontato seriamente il problema sul piano della politica industriale. Per quanto riguarda il gruppo Stellantis, il rimpasto ai vertici e il calo delle vendite è li a dimostrare che la gestione non ha funzionato. Per non parlare dello stallo della gigafactory a Termoli e del rinvio della produzione dei modelli Maserati x e y.

Che cosa chiedete?
«Prima di tutto una convocazione da parte della presidenza del consiglio. L’impegno del governo a definire un piano di rilancio del settore che abbia a bordo le aziende, Stellantis in testa. L’impegno del governo a impegnarsi perché venga istituito un fondo europeo per la transizione nell’auto».

Il doppio tavolo al mimit su automotive e stellantis partito a maggio-giugno dello scorso anno non basta?
«Sono state poste delle basi. Ma non si è chiuso il cerchio».

Siete certi che Stellantis voglia fare un accordo del genere?
«Credo che alcune istanze del gruppo abbiano un fondamento. Non si può far finta di nulla per esempio su un costo dell’energia straordinariamente più alto in Italia. Ma Stellantis deve investire di più, in nuovi modelli di massa, visti i guadagni incassati nei tre anni passati».

Lo stop al motore endotermico dal 2035 va rimesso in discussione? Tavares dice di no…
«Non sono un anno o due in più a cambiare le cose ma il fatto che finalmente l’Europa e i singoli Stati prendano in mano la situazione in modo pragmatico, coerente e facendo squadra. I tentennamenti possono essere persino controproducenti, basti vedere quello che sta succedendo a termoli. La transizione dell’auto deve smettere di essere terreno di scontro ideologico».

Favorevole o contrario ai dazi verso la Cina?
«La Cina ha fatto passi da gigante sul piano tecnologico. Ma non è una concorrenza leale: i gruppi cinesi possono contare su aiuti di stato che quelli europei non hanno mai visto. E’ una guerra commerciale e dobbiamo difenderci, non possiamo diventare un libero mercato in cui scorrazzano i predatori».

La riduzione dell’orario può essere uno strumento per affrontare la crisi?
«Credo di sì, nei casi in cui la produzione si abbassa in modo strutturale. Ma servono leve agevolative di tipo fiscale».

In Italia si trovano le grandi multinazionali della componentistica: Denso, Vitesco, Marelli, Bosch…
«La situazione è seria. Molte stanno spostando le produzioni più innovative che riguardano elettronica e connettività in altri paesi, in Italia restano produzioni che vanno a esaurimento, come il diesel Bosch a Bari. Anche le multinazionali della componentistica vanno coinvolte in prima linea in un piano di rilancio dell’auto».

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