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fare ricorso alla legge 3/2012 #finsubito prestito immediato

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Pillitteri

Le buste paga di chi ha sviluppato un problema di sovraindebitamento sono pressoché tutte connotate dalla presenza di una e, molto spesso, due detrazioni recanti la dizione: cessione del quinto. La cessione del quinto dello stipendio è la modalità più invalsa con cui vengono erogati i prestiti personali. La finanziaria eroga la somma richiesta. E a pagare le rate è il datore di lavoro che le detrae dallo stipendio, su richiesta del dipendente. Facile comprendere perché sia il metodo preferito dagli istituti di credito che, non per nulla, lo promuovono. Hanno la garanzia assoluta che il debitore non svilupperà arretrati, perché la cessione del quinto non può essere revocata unilateralmente dal lavoratore. E, inesorabilmente, mese per mese dalla busta paga uscirà quella quota. In genere per dieci anni. Da parte sua il debitore ha, all’inizio, l’illusione di “non accorgersene neanche”. È il messaggio veicolato dalla pubblicità: “È semplice, fai la cessione e non ci pensi più”. Purtroppo, è un abbaglio destinato a dissolversi quando ci si accorge che i conti delle spese di vita quotidiana cominciano a non tornare. Se la liquidità ottenuta è destinata ad esaurirsi in un arco di tempo relativamente breve, lo stipendio rimane magro per lunghi anni. E il budget familiare si contrare. Se, poi, si ripresenta l’esigenza di disporre di nuova liquidità, sono in molti a non resistere alla tentazione di ricorrere a una nuova cessione del quinto. Anche perché vengono riaccolti a braccia aperte dalle finanziarie. Che, per legge, dovrebbero verificare il “merito creditizio” del richiedente cioè se non siano presenti ulteriori esposizioni debitorie che mettano a rischio la solvibilità. Ma, trattandosi di un obbligo cui non è correlata sanzione, quasi sempre “sorvolano”: “lo stipendio è lì, andiamoci a prendere l’altro pezzettino disponibile”.

Disinvoltura che va a confortare lo stato d’animo del debitore; “Se me li danno vuol dire che, alla fine, ce la farò a rientrare”. Pia illusione. Con due cessioni del quinto dello stipendio già si è varcata di un passo (anzi due) la soglia di una situazione finanziaria che vira verso la non gestibilità. Si pensi allo stipendio medio di un dipendente pubblico (settore più esposto) che è sui 1.600 euro. Se si tolgono due quinti restano 960 euro. E in quello sprofondo resterà per un decennio. Alla lunga, non basta per vivere. E allora diventerà inevitabile chiedere nuovi prestiti, stavolta senza cessione visto che gli “slot“ sono esauriti. Prestiti che verranno erogati senza problemi. Esistono finanziarie che, senza pudore, pubblicizzano prestiti “anche per cattivi pagatori”. A questo punto, game over; ci si è dentro. E per quanto ci si arrabatterà per trovare un bandolo della matassa che conduca fuori non servirà a nulla: non se ne esce. L’unico modo per liberarsi dalla “gabbia delle cessioni” è quello di ricorrere alle procedure della legge 3/2012. Il primo provvedimento che assume il giudice, ancor prima di decidere nel merito, è quello di sospendere le cessioni in essere. Lo stipendio torna quel che era. Spesso, è la prima lucina dopo anni di buio in fondo al tunnel.

Se hai dei quesiti da sottoporre all’Avvocato scrivi a:

mail: avvocatorispondi@gmail.com

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