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Affitti brevi e case per turisti: ma il turismo per la casa? #finsubito prestito immediato


Il CIN introdotto dal Governo aspira a regolarizzare la giungla di affitti brevi che, incoraggiati dal turismo di massa, compromettono l’abitazione e quindi la sopravvivenza delle città

Le leggi dell’economia di mercato sono dure ma chiare: se la domanda eccede l’offerta, il prezzo si deve alzare per ristabilire l’equilibrio. Ma cosa succede quando il bene in questione non è un vezzo da consumatore, ma un diritto, o quantomeno un bisogno primario, come l’abitazione? Il mercato degli affitti in Italia, così come nelle principali aree metropolitane d’Europa, sembra entrato nella giostra della spirale al rialzo, e non ne sa più scendere. Mentre il moltiplicarsi di affitti brevi ridisegna non solo il turismo, ma anche la geografia delle città, svuotate di case e riempiti di alloggi, la politica finora timida e inadeguata promette un nuovo corso di azione, inaugurato con il CIN (Codice Identificativo Nazionale). Partiamo da qui per inquadrare un problema sistemico e per questo, purtroppo, non gestito con l’emergenzialità che in realtà nasconde.

June 29, 2024, Malaga, Spain: Protesters are seen holding up placards expressing their opinions during a demonstration against mass tourism in the city, following recent protests in the Canary and Balearic islands or Majorca. Thousands of people took to the streets in the centre of Malaga to protest against the rising rental prices and to demand a decent housing. Over the past few years, the city of Malaga has experienced a significant housing crisis, largely due to rent speculation and a process of gentrification, which has made it difficult for many to access decent housing. Local neighbourhood associations and organisations are calling for measures to be introduced to limit rental prices and the impact of mass tourism. (Credit Image: © Jesus Merida/SOPA Images via ZUMA Press Wire)

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Malaga, proteste contro il turismo di massa e l’aumento costante degli affitti che, insieme, hanno portato a una grave crisi abitativa per i cittadini residenti (Jesus Merida/SOPA Images via ZUMA Press Wire)

Come funzionano gli affitti brevi in Italia

Per affitto breve si intende un contratto di locazione della durata inferiore a 30 giorni e stipulato tra persone fisiche e private. Un proprietario può gestire fino a quattro immobili senza essere riconosciuto come un professionista, mentre dal quinto in poi è tenuto ad operare tramite partita IVA. Entro i quattro immobili, i proprietari sono comunque tenuti a pagare la cedolare secca, rimodulata dalla Manovra del 2024 (quindi quella dello scorso anno) al 21% in caso di una sola abitazione, al 26% a partire dal secondo immobile locato. Oltre a questa novità fiscale, il Governo ha recentemente approvato una normativa per rimodulare la materia. Innanzitutto, sono stati ampliati alcuni obblighi di legge anche a chi gestisce gli affitti brevi in modo imprenditoriale (più di quattro immobili nel periodo d’imposta), a partire dalla consegna della SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) che porta con sé obblighi di controllo sicurezza. La principale novità riguarda però l’introduzione del CIN.

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CIN: che cos’è il nuovo Codice per gli affitti brevi e chi deve richiederlo

Con il decreto il Governo ha introdotto il Codice Identificativo Nazionale (CIN). Che cos’è e come funziona? Più che come una misura in favore dell’edilizia residenziale, la legge n. 191 del 2023 ha inteso abbozzare un riordino della materia degli affitti brevi in termini di controlli, accertamenti fiscali e sostegno della libera concorrenza, molto sofferta da hotel e alberghi che a differenza dei locatori a breve termine sostengono tassazioni onerose e obblighi di legge. A tale scopo la ministra del Turismo Daniela Santanchè ha avviato l’istituzione di una Banca Dati Strutture Ricettive. Attraverso questa piattaforma tanto gli alberghi quanto le strutture extra-alberghiere, immobili adibiti ad affitti brevi compresi, dovranno obbligatoriamente registrarsi ottenendo un CIN. Tale codice identificativo andrà poi esposto all’esterno dell’immobile e sugli annunci. Nel caso degli affitti brevi, lo ricordiamo, entro quattro locali è esclusa l’attività imprenditoriale (seppur con cedolare secca variabile), dunque il CIN sarà connesso al codice fiscale della persona fisica. Oltre i quattro immobili, ripetiamo, è necessario dotarsi di partita IVA e versare la propria quota IRPEF.

La ministra del Turismo Daniela Santanchè (ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI)

Da un lato, il CIN sembra contribuire positivamente in termini di trasparenza, fornendo l’occasione per una ormai necessaria mappatura delle strutture del nostro territorio, quantomeno per consentire una gestione ponderata ed equilibrata dell’intero settore. Dall’altro, ci si aspetta che burocratizzando le procedure di profitto e imponendo una registrazione tassata si scoraggino i proprietari non in regola a perseguire questo business. In questo modo si prevede il rientro nel mercato degli affitti a medio-lungo termine di molti immobili, ma è troppo presto per trovare numeri confortanti e, dovremmo averlo capito, non si può certo pretendere che sia il mercato a preoccuparsi della crisi abitativa nelle città.

Quali tutele per l’affitto?

Le polemiche degli ultimi mesi sulla diffusione incontrollata degli affitti brevi infatti non sono solo questioni di categoria o tasse. Il problema ha invece una valenza collettiva e sociale: specialmente nelle grandi città, sempre più immobili di proprietà vengono destinati alla breve ricezione turistica, perché giudicata infinitamente più conveniente e anche meno rischiosa rispetto ad affitti più lunghi. La legge italiana appone infatti alcune tutele giuridiche in capo agli affittuari, in particolare se appartenenti alle fasce più deboli, e notoriamente il processo di sfratto di un inquilino insolvente, dalla denuncia di morosità all’esecuzione dello sfratto, è molto lungo, così come quello per recuperare i crediti maturati.

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Uno studio interno di SoloAffitti, condotto sui dati raccolti dal Gruppo, ci aiuta a dare concretezze a queste problematiche: sembra infatti che un terzo dei proprietari che non affittano i propri immobili ha paura della morosità, e non a tutti i torti; secondo l’indagine, un inquilino su due abbandona l’immobile lasciandosi dietro degli arretrati, mentre più del 60% dei contraenti paga in ritardo l’affitto. Come diretta conseguenza di ciò, si stima che in 10 anni i proprietari possono perdere in media 1.800 euro fra spese legali e solleciti. L’incertezza non è quindi giuridica, ma esecutiva, e di fronte ad essa sempre più proprietari si ritirano dallo scambio che, al netto dei rischi, sembra troppo oneroso. Ma quanto costa invece svuotare la città? E quanti affittuari scelgono il brevissimo termine per paura degli insolventi, e quanti invece lo fanno perché semplicemente ci guadagnano di più? Capirlo è importante non per processare le intenzioni ma per capire cosa smuove il mercato e come intervenire.

Al di là della tutela legale, comunque, in termini economici gli incentivi dello Stato italiano sostengono soprattutto la proprietà della casa, meno l’affitto. Basti pensare alle agevolazioni per i mutui per l’acquisto della prima casa concessi agli under 36, alle giovani coppie o alle famiglie con bassi redditi. C’è poi il cosiddetto Fondo Garanzia Prima Casa istituito nel 2013 che fornisce a determinate fasce garanzie pubbliche sul mutuo per l’acquisto della prima casa, fino all’80%. I progressivi incentivi alla liberalizzazione nell’edilizia privata promossi dalla fine degli anni ‘90 hanno gradualmente minimizzato l’impatto dei programmi di edilizia sociale in Italia.

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Nel 2008 è stato poi introdotto il concetto di “social housing”, ossia la messa a disposizione di alloggi a condizioni agevolate, dunque con canoni ridotti, da affittare permanentemente a famiglie in difficoltà economica. Anche in questo caso però i pochi fondi stanziati a tale scopo arginano malamente la criticità della situazione. Infine, per indurre i proprietari di casa ad abbassare i canoni di locazione sono previsti incentivi fiscali che scattano quando si scende sotto al prezzo di mercato. 

Un gioco che però evidentemente non vale la candela per molti che legittimamente si fanno i conti in tasca, ma ingenuamente pensano che il problema abitativo non li riguardi.

Serrande di Barcellona (Jordi Boixareu/ZUMA Press Wire)

Affitti brevi: la situazione in Italia

Lo scorso 26 ottobre un gruppo di associazioni e movimenti che sostengono il diritto alla casa hanno protestato davanti alla sede legale di Booking, il loro motto: «il tuo b&b il nostro sfratto». Nei giorni precedenti si era messa in azione persino la “banda di Robin Hood“, il movimento Stop overtourism che, in zona Circo Massimo, ha rimosso i locker con cui i proprietari gestiscono il check-in a distanza per i loro affitti brevi sostituendoli con un cappello verde a punta, a riprova della molta frustrazione che i residenti stanno accumulando. 

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Nella Capitale infatti la situazione degli affitti brevi, aumentati un po’ ovunque dopo la pandemia ma meno sensibilmente a Roma, è letteralmente esplosa con il Giubileo alle porte, nonostante l’Accordo Territoriale per il canone concordato avesse contribuito a calmierare i prezzi fino a quel momento. Secondo una ricerca di SoloAffitti, con l’Anno Santo gli affitti potrebbero subire aumenti dal 15 al 20%. A questo si aggiunga il solito labirinto dei sommersi, che ci costringe a ragionare sui soli affitti regolarmente registrati dall’Agenzia delle Entrate: stando solo a quelli che si appoggiano alla piattaforma AirBnB, a Roma sono 34061 (dati Inside AirBnb aggiornati al settembre 2024), a fronte di un migliaio di annunci di affitti a medio-lungo periodo su immobiliare.it, 10 volte in meno come evidenzia al Corriere della Sera anche il professore di Geografia economica Filippo Celata. In Europa, Roma sarebbe seconda solo a Londra e Parigi per il numero di locali in affitto su AirBnb.

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Lo “smart lock” rimosso e al suo posto il cappello di Robin Hood in una azione di sabotaggio contro i B&B da parte di Stop overtourism a Roma, (ANSA/ GIULIA MARRAZZO)

Per capire perché per i proprietari di immobili affittare a brevissimo termine, anche solo pochi giorni al mese, sia molto più conveniente che locare ad un inquilino, ci basta spulciare i prezzi medi di una notte nelle grandi città: 190€ a Roma, 169€ a Milano, 224€ a Venezia, 218€ a Firenze. Proprio Firenze merita un discorso a parte, essendo la prima città italiana a introdurre delle limitazioni agli affitti brevi, imponendo ai proprietari di agire solo sotto licenza. Eppure ad oggi ancora 8mila degli appartamenti in affitto (quasi il 66%) sono sprovvisti di permessi. La legge nel capoluogo toscano è entrata in vigore quest’estate dopo che il TAR aveva bloccato la prima norma per vizi formali, e impedisce l’apertura di nuove attività di locazione a breve termine nel centro storico di Firenze. Proposte simili sono sul tavolo dei sindaci di Venezia e persino di Barcellona: qui, lasciando scadere le licenze attualmente in vigore fino al 2028 e non rinnovandone altre, si punta a non avere più alcun locale adibito ad affitti brevi nel 2029.

Se quindi è mancata una pianificazione che permettesse di arginare a priori l’impennata dei prezzi, di certo non sarà sfuggito a nessuno che eventi come il Giubileo, con 30 milioni di persone previste nella Capitale e non solo, hanno effetti devastanti non solo in corsa, ma anche nel lungo termine.

Idee dall’Europa

In Francia, così come in Italia, la tradizione della casa di proprietà è ben radicata. Si stima che 6 famiglie su 10 siano proprietarie dell’abitazione di residenza, anche se questo dato è in costante flessione dal 2014. La politica francese si è comunque distinta perlomeno nello sforzo per un sostanzioso programma di sussidi all’abitazione promosso per sostenere i redditi più deboli nel fronteggiare l’affitto. La misura più celebre è l’Aide Personnalisée au Logement (APL). Quest’anno alcuni esponenti del Governo hanno messo in discussione la sua utilità: al settimanale Paris Match un ministro rimasto anonimo ha infatti accusato i sussidi di “non servire a nulla” oltre a costare “quasi 14 miliardi di euro all’anno“, soldi che non contribuirebbero a mantenere bassi i prezzi degli affitti e che “finiscono direttamente nelle tasche dei proprietari” che, semplicemente, alzano i prezzi perché sanno che lo Stato pagherà la differenza. Che il meccanismo sortisca o meno efficacia nel mercato, però, è vero che 5,5 milioni beneficiano di uno dei tre strumenti di sussidio all’edilizia attualmente in vigore in Francia, per un ammontare medio di 219 euro al mese a famiglia (dati del Ministero della Transizione Ecologica). Intanto, in base all’aumento dell’indice di riferimento degli affitti, è stato approvato un primo aumento del sussidio del 3,26% per 6,6 milioni di famiglie, cui seguirà un secondo aumento a gennaio 2025.

Protesta a sostegno di alcuni giovani migranti che hanno occupato la Maison des métallos a Parigi (© Telmo Pinto/SOPA Images via ZUMA Press Wire)

La voce di chi affitta e i risvolti per tutti

Se il problema ha assunto delle dimensioni di portata sociale, e non più solo economica, è quindi necessario consultare tutte le parti in causa, comprese le associazioni di categoria dei piccoli affittuari, un fenomeno tanto diffuso che ha portato alla spontanea nascita di gilde e gruppi di rappresentanza. L’Associazione Property Managers Italia, che tutela gli imprenditori degli affitti brevi, da tempo denuncia un “sistema di norme restrittive e incoerenti“, derivante dal mancato dialogo con le istituzioni. Secondo i dati AIGAB – Associazione Italiana Gestori Affitti Brevi, in Italia esistono circa 9,5 milioni di seconde case non utilizzate, di cui 640mila inserite in un circuito di affitti turistici brevi. Altre 200mila abitazioni vengono invece affidate alla gestione di un’azienda, e non possiamo quindi negare un indotto che, oltre a coinvolgere dalle 20 alle 30mila persone fra operatori professionali e non, vale complessivamente 11 miliardi l’anno (stima AIGAB sul 2023).

Locale in affitto a Badung, Bali, Indonesia (© Dicky Bisinglasi/SOPA Images via ZUMA Wire)

I proprietari di case insomma rivendicano il diritto a generare reddito dai propri immobili, una possibilità che effettivamente aiuta il bilancio familiare di moltissimi nuclei. Ma non solo: il fioccare delle associazioni di rappresentanza accende un faro anche sulla diversificazione in atto nel mercato del lavoro, spesso dimostrando come nuove figure professionali e nuovi impieghi possano virtuosamente affiancare la ricezione alberghiera: la professionalizzazione delle figure che si occupano della gestione degli affitti brevi non può che apportare beneficio al settore assicurando serietà, rispetto delle regole e trasparenza. È dello stesso avviso anche Santanchè, che ha ribadito di non essere “per i divieti assoluti“, perché “in molte aree italiane, dove scarseggiano gli alberghi, sono fondamentali per accogliere i turisti e favorire il decongestionamento dei flussi“. Salvo quindi introdurre una buona pratica di mappatura delle strutture ricettive extra-alberghiere, la misura non prevede, perlomeno in questa prima fase, restrizioni alla riconversione selvaggia degli alloggi da residenziali a turistici.

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Un peccato: mantenere una buona qualità della vita residenziale nei quartieri e nelle città sarebbe essenziale non solo per il benessere di chi ci abita (che non sarebbe nemmeno affare del Ministero del Turismo), ma anche degli stessi turisti. Solo una città curata, animata e vissuta dai suoi cittadini è capace di far innamorare chi passa raccontando la sua storia; un dormitorio per turisti sopravvive solo aggrappato ai capricci di mercati sempre più polarizzati: da un lato le grandi masse che consumano più di quanto non ammirino, dall’altro il lusso esclusivo dei soliti pochissimi. Che profitto si ricava da un luna park deserto?

di: Marianna MANCINI

FOTO: ANSA/Socrates Baltagiannis/dpa





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