Aziende «montate» prima dell’arrivo degli ispettori della banca che doveva concedere i finanziamenti: insegne nuove, macchinari e anche operai assoldati come figuranti. È il «cinema», come dicono gli intercettati, che erano soliti mettere in scena gli arrestati nelle inchieste parallele della procura di Monza e di Brescia che hanno scoperto una truffa milionaria su finanziamenti garantiti dallo Stato attraverso il Fondo di garanzia gestito da Mediocredito Centrale spa. I militari comaschi, su ordine del gip di Monza, hanno sequestrato 13,8 milioni di euro; a Brescia la truffa ammonterebbe a 6 milioni e 700mila euro. Nel primo territorio l’ordinanza di custodia cautelare ha riguardato 19 persone, di cui 7 in carcere nell’ambito dell’indagine «Casa di carta».
Tre le misure cautelari invece su ordine del gip di Brescia e in entrambe le inchieste è coinvolto Marco Savio, fratello di un magistrato della Dda bresciana, amministratore della Marfin srl, agente monomandatario di Banca Progetto per il quale la Procura monzese ha chiesto e ottenuto il carcere (il gip di Brescia ha disposto i domiciliari). Sempre nel procedimento della procura di Monza è coinvolto Maurizio Ponzoni, ritenuto vicino alla cosca della ‘ndrangheta di Legnano-Lonate Pozzolo e per questo prima sottoposto a misure di prevenzione e ora in carcere. Gli indagati, secondo l’accusa, «inducevano in errore Banca Progetto sul rating creditizio e sulla conseguente possibilità di adempimento dei prestiti e di conseguenza anche Medio Credito Centrale che concedeva la garanzia pubblica sull’80% delle somme».
Le indagini erano cominciate nel 2023, dopo l’approfondimento di alcune operazioni finanziarie ritenute sospette da parte di amministratori di una società monzese già coinvolti in procedimenti per fallimento e truffa. Gli investigatori comaschi hanno scoperto che la base operativa era in un capannone di Cinisello Balsamo, alle porte di Milano, affittato a una azienda neo costituita nel settore della telefonia e intestata a un prestanome. Dagli accertamenti su bilanci societari, su conti correnti e con intercettazioni telefoniche e ambientali è stato ricostruito come la società di telefonia fosse solo l’ultima usata per presentare la domanda di finanziamento garantito all’80%, con fondi dello Stato. Gli indagati erano soliti acquisire quote di società intestate a prestanome, le ricapitalizzavano falsamente e ne falsificavano i bilanci. Al centro del meccanismo la Marfin srl di Savio, agente monomandatario per Banca Progetto a Brescia e Bergamo che suggeriva le società da «costruire».
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