D.lgs. n. 50/2016 – principio del risultato – concorrenza – par condicio competitorum – principio della fiducia – diligenza e professionalità degli operatori – principio di imparzialità – principio di trasparenza – principio di autoresponsabilità – errore materiale nella redazione dell’offerta tecnica – correzione dell’errore – variazione postuma dei contenuti dell’offerta – immodificabilità e non ambiguità dell’offerta – violazione della parità concorrenziale
Consiglio di Stato, Sez. V, n. 7798 del 25 settembre 2024
Va rammentato, infatti, che la materia degli appalti pubblici è, in quanto espressione di interessi pubblici generali, informata al rispetto dei principi generali, di derivazione costituzionale e unionale, di imparzialità, buon andamento, trasparenza dell’agire (v. artt. 97, 41 e 43 Cost.), nonché all’eludibile tutela dei principi di concorrenza e di par condicio tra gli operatori economici che prendono parte alla procedura concorsuale (v. artt. 101 e 102 TFUE).
Conseguenza diretta dell’applicazione di tali tutele è la garanzia dei principi generali della immodificabilità e della non ambiguità dell’offerta, posti a tutela della imparzialità e trasparenza nell’agire della Stazione appaltante.
Il Collegio rileva che i suddetti principi vanno coniugati con l’indirizzo condiviso della giurisprudenza di settore secondo cui, in applicazione del principio di autoresponsabilità, ciascuno dei concorrenti ‘sopporta le conseguenze di eventuali errori commessi nella formulazione dell’offerta e nella presentazione della documentazione’ (Cons. Stato, Ad. pl. 25 febbraio 2014, n. 9).
All’impresa che partecipa a pubblici appalti è richiesto un grado di professionalità e di diligenza superiore alla media: una diligenza che non riguarda solo l’esecuzione del contratto, ma anche le fasi prodromiche e genetiche, tra cui, in primo luogo quella della redazione degli atti necessari alla partecipazione alla gara.
[…] Né appaiono convincenti le ulteriori denunce introdotte con il terzo mezzo, condivise anche dal Comune […] con memoria, con le quali si assume che gli esiti del giudizio non hanno tenuto conto del ‘principio del risultato’ e di quello della ‘fiducia’, recentemente introdotti dal d.lgs. n. 36 del 2023, dovendosi condividere quanto asserito dalla società […] secondo cui sono proprio i suddetti principi che confermerebbero le conclusioni espresse dal primo giudice, in quanto ‘l’enfatizzazione del principio del risultato non può portare a massimizzare il valore oggettivo della prestazione offerta sin dall’inizio dall’originario aggiudicatario della commessa’.
Neppure si può ritenere che l’applicazione del ‘principio del risultato’ e del ‘principio della fiducia’ possa consentire all’Amministrazione di violare i criteri che rappresentano il sestante delle procedure di gara, ossia la tutela della concorrenza e la par condicio competitorum.
Se è vero che l’Amministrazione deve tendere al miglior risultato possibile, in difesa dell’interesse pubblico, tale risultato deve essere comunque il più ‘virtuoso’ e viene raggiunto selezionando gli operatori che dimostrino, fin dalle prime fasi della gara, diligenza e professionalità, quali espressione di una affidabilità che su di essi dovrà essere riposta al momento in cui, una volta aggiudicatari, eseguiranno il servizio oggetto di affidamento.
Il fatto
La controversia in esame ha ad oggetto una procedura per l’affidamento del servizio di trasporto scolastico il cui criterio di aggiudicazione era quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Nel disciplinare l’attribuzione del punteggio la lex di gara prevedeva un sub criterio premiale riguardante la “presenza nel parco mezzi di autobus che usufruiscono di incentivi ambientali (metano, elettrici, ibridi etc.)”.
L’offerta dell’impresa prima classificata veniva sottoposta a verifica di congruità, che si concludeva con esito positivo.
L’operatore secondo classificato proponeva ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con cui – per quanto di rilievo in questa sede – contestava l’attribuzione del punteggio all’aggiudicatario in relazione al sub criterio della “presenza nel parco mezzi di autobus che usufruiscono di incentivi ambientali (metano, elettrici, ibridi, etc.)”.
Il Tar del Lazio accoglieva il ricorso con sentenza n. 1281 del 2024.
Avvero la decisione di primo grado veniva proposto appello dalla società originariamente prima classificata.
La decisione del Consiglio di Stato
L’appellante contestava la decisione di primo grado sotto diversi aspetti.
Per quanto di interesse, l’appellante sosteneva che, sebbene l’offerta tecnica contemplasse esclusivamente dei mezzi estranei all’applicazione degli incentivi ambientali, nel corso della verifica di anomalia erano stati allegati dei documenti relativi a due autobus che beneficiavano di tali agevolazioni (nonostante il reiterato riferimento anche in sede di verifica di congruità all’originale offerta tecnica priva di vetture “ecologiche”).
In sostanza, l’appellante considerava la mancata indicazione dei due autobus “ecologici” come un mero errore materiale in cui era incorso il concorrente nella redazione dell’offerta tecnica, emendabile attraverso i documenti successivamente presentati nel procedimento di valutazione di congruità.
L’appellante sosteneva, poi, che il giudice di prime cure nella sua pronuncia avesse illegittimamente dequotato dei valori di rango costituzionale come quelli della tutela dell’ambiente e della salute.
Inoltre, richiamava a sostengo delle proprie censure anche l’operatività del principio del risultato – dato il valore oggettivo della prestazione offerta dall’aggiudicataria originaria della gara – affermando l’immanenza di tale principio all’ordinamento della contrattualistica pubblica, e ritenendolo perciò applicabile alla gara nonostante la sua soggezione al d.lgs. n. 50/2016.
Le censure formulate dall’appellante sono state disattese dal Consiglio di Stato sulla base delle seguenti considerazioni.
In primo luogo, il giudice ha rilevato come nell’offerta tecnica dell’appellante fossero del tutto assenti delle vetture che usufruissero di agevolazioni ambientali, assenza peraltro ribadita finanche nel corso della verifica di anomalia attraverso il reiterato rinvio ai contenuti dell’offerta tecnica originaria.
Sulla base di tali presupposti il Consiglio di Stato ha ricordato che “come più volte chiarito dalla giurisprudenza di settore, l’errore materiale in cui è incorso l’operatore economico nella compilazione dell’offerta tecnica è emendabile quando, nel contesto dell’offerta, esso è riconoscibile come tale dalla stazione appaltante perché non sussistono dubbi circa la volontà del concorrente, e lo stesso può essere rettificato senza ricorrere a fonti esterne all’offerta.
In particolare, è stato chiarito che l’errore materiale che non inficia l’offerta del concorrente deve sostanziarsi in un mero refuso materiale riconoscibile ictu oculi dalla lettura del documento dell’offerta; la sua correzione deve a sua volta consistere nella mera riconduzione della volontà (erroneamente) espressa e quella, diversa, inespressa ma chiaramente desumibile dal documento, pena l’inammissibile manipolazione o variazione postuma dei contenuti dell’offerta, con violazione del principio della par condicio dei concorrenti (Cons. Stato, sez. V, n. 5344 del 2022; id. n. 2592 del 2022; id. 5638 del 2021).
Inoltre, come sopra si è specificato, l’operazione di correzione dell’errore materiale deve fondarsi su elementi significativi dell’errore desumibili dall’atto stesso, e non già da fonti esterne, quali atti chiarificatori o integrativi dell’offerta in gara (Cons. Stato, n. 6462 del 2020; id. n. 1347 del 2020), potendo, peraltro, l’interprete fare ricorso a una, purchè minima, attività interpretativa, finalizzata alla correzione di errori di scritturazione o di calcolo (Cons. Stato, n. 1034 del 2023; id. n. 2022 del 5344; id. n. 1487 del 2014)”.
Il Consiglio di Stato ha quindi rilevato l’infondatezza della tesi dell’appellante, dato che l’indicazione successiva in sede di verifica di anomalia della presenza di due autobus soggetti alle agevolazioni ambientali rappresenta un’evidente modifica susseguente dell’offerta tecnica – in quanto tale lesiva della parità competitiva poiché idonea ad attribuire all’operatore un indebito vantaggio sugli altri partecipanti.
Pertanto il giudice ha concluso per la reiezione del motivo di appello, ritenendo infondata l’asserita omessa valorizzazione da parte del Tar del diritto alla salute e della tutela dell’ambiente, data la corretta applicazione nella sentenza di primo grado dei principi generali del buon andamento, dell’imparzialità e della parità concorrenziale, il cui rispetto si impone agli operatori in tutte le fasi della procedura di gara.
In secondo luogo, il Consiglio di Stato ha respinto la lettura del principio del risultato proposta dall’appellante – tale da attribuire allo stesso una portata idonea a dequotare i valori della concorrenza, della parità di trattamento e della trasparenza – poiché “l’enfatizzazione del principio del risultato non può portare a massimizzare il valore oggettivo della prestazione offerta sin dall’inizio dall’originario aggiudicatario della commessa”.
Secondo il giudice, l’applicazione di tale principio non può avere come effetto quello di consentire la violazione dei “criteri che rappresentano il sestante delle procedure di gara, ossia la tutela della concorrenza e la par condicio competitorum”.
Brevi considerazioni conclusive
La pronuncia in esame appare di particolare interesse sotto due aspetti.
In primo luogo, il Consiglio di Stato ha ribadito la centralità del principio di immodificabilità dell’offerta tecnica, data l’assoluta rilevanza dei valori ad esso sottesi.
Appare infatti evidente il vulnus che si arrecherebbe all’imparzialità, alla trasparenza, e alla concorrenza qualora si consentisse una sostanziale modifica dell’offerta tecnica a valle della gara al fine di ottenere un punteggio migliore, vieppiù in un contesto in cui i contenuti originari dell’offerta erano stati ribaditi anche nel corso del procedimento di verifica di anomalia.
Né può ritenersi che la presentazione di un’offerta priva di quegli elementi rilevanti ai fini dell’assegnazione dei punti possa ritenersi un “mero errore materiale” come tale successivamente emendabile dall’operatore, bensì un errore le cui conseguenze negative ricadono esclusivamente nella sfera del concorrente che se ne rende responsabile.
In caso contrario si determinerebbe il surrettizio aggiramento del principio di immodificabilità dell’offerta tecnica, data la correzione dell’“errore” sulla base di fonti esterne all’offerta iniziale, la presenza di un’originaria volontà dell’operatore univocamente indirizzata alla presentazione di un progetto mancante di autobus “ecologici”, nonché la non desumibilità di una diversa volontà dalla piana lettura della documentazione prodotta in sede di gara.
In secondo luogo, il Consiglio di Stato si è soffermato sulla valenza del principio del risultato nell’ordinamento dei contratti pubblici (ritenuto immanente al sistema dalla giurisprudenza, e perciò applicabile anche alle gare disciplinate dal d.lgs. n. 50/2016, v. Consiglio di Stato, sez. V, 27 febbraio 2024, n. 1924), e sul suo rapporto con il principio di concorrenza.
Sul punto occorre ricordare che il d.lgs. n. 36/2023 prevede, all’art. 1, che “le stazioni appaltanti e gli enti concedenti perseguono il risultato dell’affidamento del contratto e della sua esecuzione con la massima tempestività e il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza”, e, all’art. 2, che “la concorrenza tra gli operatori economici è funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire i contratti.”
Questo, in breve, l’assetto dei principi che sembra emergere dalla pronuncia in esame: la tutela della concorrenza è funzionale al perseguimento del miglior risultato possibile; il miglior risultato da raggiungere deve però essere “virtuoso” per potersi ritenere legittimo; il risultato virtuoso viene ottenuto selezionando operatori che dimostrino diligenza e professionalità nello svolgimento della gara; gli operatori che non rispettano le norme a tutela della parità concorrenziale non possono considerarsi diligenti e professionali; il risultato “più virtuoso” si raggiunge, dunque, affidando il contratto all’operatore migliore tra quelli che possono ritenersi diligenti e professionali.
Il Consiglio di Stato chiarisce, pertanto, che il principio del risultato non fa riferimento al “miglior risultato” guardando solo al valore tecnico ed economico delle offerte, ma al “migliore” tra i “risultati virtuosi”, e cioè al “più virtuoso”.
Pertanto, per le stazioni appaltanti non appare possibile scegliere una proposta che prevede il miglior rapporto qualità-prezzo ma che non può dirsi proveniente da un soggetto diligente e professionale, poiché presentata con modalità lesive della parità concorrenziale.
Deve così ritenersi estranea all’ordinamento dei contratti pubblici la lettura del principio del risultato proposta dall’appellante, poiché tale da subordinare la garanzia della parità competitiva alla sua strumentalità alla selezione della migliore offerta dal punto di vista del rapporto qualità-prezzo; la tutela della concorrenza non può, cioè, cedere il passo di fronte all’esigenza di affidare il contratto al “miglior offerente” oggettivamente considerato.
Dunque, se è vero che il principio di concorrenza è funzionale al perseguimento del miglior “risultato”, quest’ultimo deve però interpretarsi come “risultato virtuoso” in quanto raggiunto salvaguardando la parità concorrenziale, vista la centralità dei principi di cui quest’ultima è a sua volta espressione (in particolare, l’imparzialità, il buon andamento e la libertà di iniziativa economica).
In sintesi, nella prospettiva del Consiglio di Stato la concorrenza non rappresenta tanto un valore estraneo al risultato – da bilanciare con esso e da proteggere in caso di conflitto – ma un principio che partecipa (insieme ai principi di legalità e trasparenza) all’individuazione del “risultato virtuoso”, il quale incarna quindi l’effettivo significato del “risultato” nell’ordinamento dei contratti pubblici.
In conclusione – dato che, come visto, la garanzia della parità competitiva è immanente al concetto stesso di “risultato” poiché il “miglior risultato possibile” è solo quello che si raggiunge selezionando il “migliore” tra i “risultati virtuosi” – la parità concorrenziale non limita esternamente il perseguimento del risultato ma concorre a definire dall’interno l’ambito di operatività di tale principio, così ponendosi con esso in un rapporto di sostanziale integrazione funzionale.
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