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Dopo un lunghissimo periodo di gestazione, il governo partorisce, finalmente, il terzo correttivo al codice della crisi (dlgs. 136/2024), con la dichiarata volontà di chiarire i molti dubbi interpretativi emersi e, soprattutto, di rendere più efficaci gli strumenti messi in campo, per la salvaguardia dell’impresa e la gestione delle crisi. Che si sia arrivati solo ora ad una versione definitiva del provvedimento è indice delle molte difficoltà che si sono dovute superare durante il percorso legate, essenzialmente, a trovare la quadra tra le diverse esigenze dei soggetti interessati. Il nobile scopo dell’originario codice, infatti, ossia l’emersione tempestiva della crisi ai fini della tutela della continuità aziendale, si è spesso scontrato, e più che mai nelle varie stesure del correttivo, con altri interessi, forse meno nobili ma pur sempre legittimi; quello delle banche chiamate a credere negli strumenti utilizzati dall’imprenditore e a non abbandonarlo anche nelle difficoltà ; senza tener conto, però, che le banche sono a loro volta un soggetto imprenditoriale che risponde ai propri azionisti e alle proprie regole. Quello dell’Agenzia delle entrate, sempre più maltrattata e passata, in poco tempo, dall’ideale dell’indisponibilità del credito tributario all’incubo del cram down ossia all’indisponibilità di decidere sul proprio credito tributario.
In mezzo, ovviamente, tutti gli altri creditori, i professionisti chiamati a ricoprire ruoli importanti nelle varie procedure e, non ultimi, i Tribunali, costretti spesso ad interpretare le norme e suggerire al legislatore le modifiche necessarie per non mandare in crash il sistema.
Non stupisce quindi che il correttivo come uscito dalla G.U. sia un’opera di mediazione imponente, a volte, però, schizofrenica, nella quale si alternano interventi fondati sulla buona fede e affidabilità dell’imprenditore a disposizioni di chiaro stampo antielusivo, dettate da evidente pregiudizio nei confronti dello stesso debitore.
Tale discrasia è particolarmente evidente in due dei temi più interessanti del correttivo: le modifiche al cosiddetto cram down fiscale e quelle al concordato semplificato, correzioni che tengono conto di alcuni problemi emersi nella prassi di questi mesi e tentano di porvi rimedio.
Uno dei punti più delicati negli accordi di ristrutturazione è il cosiddetto cram down fiscale, cioè l’obbligo, per Agenzia entrate ed enti di previdenza, di accettare il pagamento dei propri debiti in una percentuale ridotta, decisa dall’imprenditore. Questione particolarmente importante perché in moltissimi casi di crisi aziendali la maggior parte dei debiti a carico dell’imprenditore sono proprio quelli fiscali e previdenziali. D’altra pare bisogna evitare che l’erario e le casse dell’Inps subiscano un danno dalla malafede dell’imprenditore che può giostrare la propria posizione sapendo di poter contare, alla fine, sul cram down. Come successo più volte nei mesi scorsi. Per trovare un equilibrio tra le esigenze contrapposte di imprese ed erario è intervenuto il decreto legislativo correttivo del codice della crisi, che ha posto una serie di paletti alla facoltà concessa all’imprenditore di cancellare i propri debiti offrendo, di fatto, il pagamento di circa un terzo del debito stesso: deve infatti garantire il pagamento del 50 o del 60% a seconda de casi del debito al netto di sanzioni e interessi. E potendo contare anche su una congrua dilazione dei pagamenti.
Occorre però che non si tratti di un accordo liquidatorio ma di una condizione necessaria e sufficiente a garantire la prosecuzione dell’attività di impresa. Inoltre, la percentuale offerta in pagamento deve comunque essere superiore a quanto l’erario recupererebbe dalla liquidazione dell’azienda.
Anche il concordato semplificato, che, a differenza del cram down è applicabile per la liquidazione dell’azienda, ha subito modifiche significative: intanto la falcidia dei crediti privilegiati è possibile solo con l’attestazione di un professionista che si tratti comunque della misura più conveniente per i creditori. Poi la possibilità di presentare un ricorso per prenotare il concordato semplificato con riserva di deposito successivo del piano (quando, ovviamente, le altre soluzioni si sono rivelate non percorribili), che è sufficiente per chiedere le misure protettive nei confronti dei creditori. Possibilità particolarmente interessante che potrebbe essere decisiva in molti casi per la scelta di questa soluzione.
Si tratta, peraltro, di correzioni in corso d’opera, come sembra essere iscritto nel codice genetico della riforma della crisi d’impresa, che sembrano far perno su un certo buon senso e sull’esperienza maturata nei primi mesi di applicazione della nuova disciplina. Ma, al di là delle questioni procedurali e tecniche, per avere un risultato concreto occorre chiarire, una volta per tutte, la gradazione dei valori che il codice vuol preservare (continuità aziendale, soddisfazione dei creditori, interessi erariali) ed agire conseguentemente e coerentemente.
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