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BRINDISI – “Per la prima volta, l’intero impianto di una legge ingiusta verso il lavoro delle Ong viene messa in discussione”. L’Arci, la Sos Méditerranée e gli avvocati della Ong mettono in risalto l’importanza dell’ordinanza con cui la giudice del tribunale di Brindisi, Roberta Marra, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale del decreto Piantedosi, nell’ambito della causa avviata dalla medesima Ong, a seguito del provvedimento di fermo amministrativo emesso lo scorso febbraio nei confronti della Ocean Viking, nave che approdò a Brindisi con 261 migranti tratti in salvo, in diverse operazioni, nel Canale di Sicilia.
Il significato e i possibili risvolti di questa ordinanza sono stati al centro di una conferenza stampa che si è svolta stamattina (venerdì 11 ottobre) presso la Città dell’Altra Economia, nel quartiere Testaccio a Roma, una conferenza stampa. Sono intervenuti Filippo Miraglia, responsabile Immigrazione di Arci nazionale, Giorgia Girometti, responsabile comunicazione operazioni Sos Méditerranée, l’avvocata Francesca Cancellaro e il collega Dario Belluccio.
Giorgia Miretti rimarca come il Decreto Piantedosi abbia reso ancora più difficile i lavori di ricerca e soccorso delle Ong che come Sos Mediterraneè continuano a operare nel Mediterraneo centrale da circa 10 anni. “Il Mediterraneo – spiega Miretti – che continua a essere una delle rotte più pericolose al mondo: nel 2020, 1158 persone hanno perso la vita lungo questa rotta migratoria, totalmente sguarnita da ogni tipo di aiuto umanitario, se non fosse per le Ong”.
La Sos ha subito tre fermi amministrativi dall’implementazione della legge a oggi. “Se allarghiamo il quadro – prosegue Miretti – sono in tutto 25 le detenzioni amministrative dal 2023, per un totale di 557 giorni di detenzione, ossia 557 giorni in cui le Ong di ricerca e soccorso non possono operare per salvare vite umane”.
Gli avvocati Cancellaro e Belluccio entrano nel merito tecnico della questione. “Il cosiddetto decreto Piantedosi – spiega Cancellaro – ha una veste formalmente amministrativa, ma in realtà è uno strumento pervasivo di criminalizzazione dell’attività di ricerca e soccorso in quanto tale”. Emblematica del contrasto all’attività di soccorso è la parte del decreto che prevede un fermo di 20 giorni, a prescindere dalla tipologia e gravità di violazione. “Ciò significa – spiega la legale- che a un giudice non è data la possibilità di graduare la sanzione”. E poi si pone un altro problema per le Ong, che di fanno non sanno quali sono le condotte che porteranno alla sanzione. Tutto ciò, secondo l’avvocato Cancellaro, comporta una violazione del principio di proporzionalità e ragionevolezza.
Altro aspetto rilevante dell’ordinanza è la messa in discussione della legittimità di una zona Sar libica e di immaginare che le autorità libiche possano coordinare le attività di soccorso e siano in grado di offrire un porto sicuro. Precedenti pronunciamenti della magistratura, del resto, hanno stabilito che la Libia non è un porto sicuro. “Chi respinge le persone – afferma Cancellaro – sta commettendo un reato”.
L’ordinanza inoltre “va a colpire molti aspetti del decreto e ci dà la possibilità di dire – spiega ancora Cancellaro – che è vero che c’è una discrezionalità del legislatore, ma ci sono dei binari che non possono essere superati neanche dal legislatore: i diritti fondamentali previsti dalla Costituzione e dalle convenzioni internazionali alle quali ci ispiriamo”.
E proprio sulla base di tali diritti fondamentali, “non può essere posta in discussione la necessità e il dovere di salvare le vite in mare”. Lo ribadisce, con forza, l’avvocato Belluccio. “La giurisprudenza di merito e questa importantissima ordinanza – afferma l’altro avvocato della Ong – smentiscono che il decreto impedisce questa possibilità. La tesi per la quale le cosiddette autorità libiche sono dei soggetti che contribuiscono a salvare vite in mare, viene messa in discussione”. Le autorità libiche, del resto, “non fanno attività e di ricerca – spiega ancora l’avvocato – ma di intercettazione di persone al fine unico di riportarle da dove provengono e sottoporle a sistema di schiavitù e di compravendita di esseri umani”.
Adesso, la Corte Costituzionale dovrà decidere se è opportuno chiedersi se e come salvare delle vite in mare. Per i legali della Sos Méditerranée, ovviamente, non vi è alcun dubbio. “Non può continuarsi ad avere una produzione normativa – afferma Belluccio – che criminalizza un’attività dovuta, senza scopo di lucro, che ha l’unico scopo di salvare le vite in mare. Se gli Stati non sono capaci di farlo e qualcuno va in soccorso degli Stati, non è ipotizzabile che venga criminalizzato”.
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