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Come reagiranno gli elettori a una manovra che nei prossimi mesi imporrà una restrizione al bilancio pubblico tra tagli e tasse?
Il vero esame del consenso arriva ora, nel momento in cui il governo Meloni è chiamato a varare la sua legge di bilancio. Nei prossimi mesi capiremo la solidità dell’elettorato di centrodestra di fronte a una manovra restrittiva e un’economia in rallentamento.
Fino ad oggi il governo ha goduto di una serie di circostanze favorevoli: patto di stabilità sospeso, maggior spesa di tutti i governi, economia internazionale in crescita, erogazione del Pnrr e fondi simili a livello europeo.
Ciò ha permesso all’esecutivo di eliminare politiche invise agli elettori della maggioranza, come il reddito di cittadinanza e il superbonus, e continuare a spendere su altri fronti. Il governo ha navigato abbastanza bene nella prima metà della legislatura, senza mai perdere la fiducia dei mercati e ottenendo discreti risultati economici.
Ma da questa legge di bilancio la musica cambia. Sia perché entrano in vigore le leggi nel nuovo patto di stabilità europeo, sia perché dopo quattro anni di stimoli fiscali tutti i governi del mondo occidentale sono chiamati a razionalizzare spese e interventi per evitare l’esplosione dei debiti pubblici e dell’inflazione. Le indiscrezioni che trapelano dalle stanze del governo mostrano un quadro chiaroscuro.
Da un lato ci sono delle idee ragionevoli, come il rifinanziamento della riduzione del cuneo fiscale e la razionalizzazione delle detrazioni, dall’altro serpeggiano proposte più pericolose, come l’idea di aumentare le imposte a certe categorie di imprese.
Si parla in quest’ultimo caso di extraprofitti, un termine peronista, e viene da chiedersi chi stabilirà cosa questi siano e quali aziende li abbiano eventualmente realizzati. È bene ricordare che l’eventuale aumento della fiscalità sulle imprese verrà scaricata da qualche parte: o sui consumatori con l’aumento dei prezzi o sui lavoratori con il taglio degli investimenti. Qui emergono delle incoerenze del governo.
L’esecutivo nato sulla difesa delle imprese oggi finisce per voler aumentare le tasse su di esse. Tra le vittime degli extraprofitti, inoltre, ci sarebbero anche le aziende della difesa, chiamate a grandi investimenti nei prossimi anni per ovvie ragioni di sicurezza internazionale, che però rientrano nella narrazione sull’interesse nazionale che il centrodestra porta avanti: perché colpirle dunque con aumenti di tasse? Insomma, l’idea di tassare di più gli utili di alcune industrie non sembra particolarmente vincente.
Si potrebbero invece tagliare alcuni sussidi pubblici alle imprese che sono molto lievitati nell’ultimo quinquennio, ma è noto quanto la destra sia sensibile alle pressioni di certe corporazioni, o intervenire sulla spesa pensionistica, vero macigno sui conti pubblici ma occultato da tutti i partiti per ragioni elettorali.
Al di là delle policy, resta comunque il punto politico: come reagiranno gli elettori a una manovra che nei prossimi mesi imporrà una restrizione al bilancio pubblico tra tagli e tasse? Essere prudenti e assennati come vuole il ministro Giorgetti è certamente un valore per i mercati che comprano il debito pubblico italiano e per la Commissione Ue, ma eventuali effetti recessivi sull’economia verranno scontati sul piano elettorale. La premier e il suo ministro hanno di fronte scelte difficili.
Da un lato non è possibile svincolarsi dalla prudenza sui conti pubblici senza rischiare fiammate dello spread, ma dall’altro non vanno messe in campo misure che possano colpire l’elettorato del centrodestra.
Il governo deve raggiungere un equilibrio non facile da comporre senza subire ripercussioni negative e al momento appare complicato per Meloni anche far emergere argomenti politici alternativi all’economia che possano distrarre gli elettori. Senza dimenticare che sul governo e sui conti pende un’altra spada di Damocle: gli effetti della transizione ecologica sul sistema industriale italiano.
Da Stellantis ai piccoli produttori della componentisca sono in tanti quelli che rischiano di licenziare o mettere in cassa integrazione migliaia e migliaia di lavoratori nei prossimi mesi.
Una bomba sociale ed economica pronta ad esplodere e di cui gli elettori chiederanno conto al governo Meloni, che è in carica da oltre due anni e non potrà scaricare altrove le responsabilità.
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