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Lei dice: «Sono contenta di ricominciare il tour a casa». Giorgia Fumo porterà lo spettacolo “Vita bassa” venerdì 4 ottobre al Teatro Doglio di Cagliari e sabato 5 ottobre al Teatro Verdi Sassari, quest’ultimo appuntamento organizzato da “Shining production” in collaborazione con “Le Ragazze terribili”. Stand-up comedian, improvvisatrice, uno dei nomi di spicco della comicità italiana negli ultimissimi anni.
Si tratta di uno spettacolo che porta in giro ormai da tempo, cosa dobbiamo aspettarci?
«Di ridere tanto, spero. Vero, lo porto sui palchi da tanto e lo amo perché di fatto rappresenta un’evoluzione finale del mio primo spettacolo, parla della vita a 30-40 anni».
Una fascia d’età di cui si parla spesso e da cui ci si aspetta molto: ai 30enni viene richiesto di essere adulti ben definiti.
«Nel 2019 non se ne parlava così tanto, ora sicuramente di più. Ci si aspetta siamo definiti eppure non siamo diventati gli adulti che volevamo, e questo perché non ne abbiamo avuto la possibilità tra crisi varie e problemi generalizzati».
Tra le sue note biografiche, poche parole spiegano che è cresciuta in Sardegna. Immagino per motivi lavorativi dei suoi, non ci sono troppe informazioni a riguardo, le va di parlarne?
«Non si trova granché perché sono molto riservata. Dai 5 ai 18 anni ho vissuto nell’isola, ho frequentato il liceo a Cagliari, adoro la Sardegna e tornarci, per me è stato un arricchimento culturale: penso alle tradizioni, all’orgoglio e l’amore per il luogo e la propria identità. Qualcosa che non si vede altrove. La mia famiglia vive ancora lì e piango sempre in aeroporto quando lascio l’isola».
La passione per la comicità, lo ha detto in tante occasioni, l’ha lasciata nel cassetto per un po’ prima di tirarla fuori.
«Avevo acceso quel sogno al liceo, a Cagliari noi studenti avevamo l’abbonamento al Teatro Alfieri e ci portavano a vedere la stagione, i matinée per le scuole. In quel momento mi sono innamorata del teatro comico. Poi quando ero piccola in tv vedevo i Lapola».
E perché non ha inseguito subito quell’interesse?
«Non lo vedevo come un lavoro vero, non conoscevo nessuno che vivesse di arte o spettacolo, era una cosa che facevano “gli altri”. E poi volevo fare l’università. Ho messo da parte il sogno, non pensavo nemmeno alle scuole di teatro, mi limitavo a fare le imitazioni di prof e compagni. È diventata un’idea di lavoro quando sono andata fuori e ai primi tentativi vedevo persone ai miei spettacoli. E ho capito che non era un sogno, ma una solida realtà (ride, ndr)».
Secondo lei non esiste una comicità femminile?
«No, e quando sentivo i pregiudizi sulle donne che non sanno far ridere avevo alle spalle già 8 anni di palco. Per le persone è normale dividere in generi, ed è triste quando qualcuno si perde le cose solo perché sono “da femmina”».
Le piace la scena della stand-up italiana?
«È finito il periodo dell’emulazione, e sono finiti i pezzi da emulare (ride), ormai sono tanti i modelli riproposti. L’ondata è partita da città diverse e grazie a social e passaparola la stand-up si è evoluta. Io sono fra le ultime per la verità, ma la stand-up è nata da sola, è stato come nella moda con gli street stylist ispirati semplicemente da come si vestivano le persone in strada».
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