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Il ddl Lavoro ha allargato le maglie dei licenziamenti coperti da dimissioni fittizie, che colpiscono soprattutto le donne al momento della maternità. Il Jobs Act di Renzi aveva cercato di contenere il fenomeno, ora meno verifiche
Il salario minimo e la lotta contro le dimissioni in bianco ricompattano le opposizioni, che in aula alla Camera sul ddl Lavoro del governo hanno condotto una battaglia comune pur soccombendo ai voti del centrodestra. I partiti di maggioranza hanno respinto un emendamento sul salario minimo e hanno invece approvato una norma del provvedimento che «smonta» il Jobs Act nella parte che cerca di contrastare le dimissioni in bianco e i licenziamenti mascherati da dimissioni del lavoratore.
La battaglia in Parlamento
Anche il Movimento Cinquestelle ha tentato la difesa delle vecchie misure targate Renzi, mentre Italia Viva questa volta sul salario minimo si è astenuta, evitando dunque di schierarsi contro. Il disegno di legge sul lavoro era stato approvato dal Consiglio dei ministri un anno e mezzo fa, nella seduta del primo maggio 2023, ma è approdato in aula solo giovedì scorso. Ed è stata l’occasione per tornare a contarsi – attraverso un emendamento sottoscritto da tutti i partiti di minoranza tranne Iv – sulla proposta di introdurre anche in Italia il salario minimo. In Aula è intervenuto Giuseppe Conte, primo firmatario dell’emendamento, affermando in modo deciso: «Noi non ci arrenderemo mai».
Il dibattito sul salario minimo
Parole rilanciate da altri esponenti delle opposizioni (Arturo Scotto del Pd, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli di Avs, Benedetto della Vedova di +Europa, Antonio D’Alessio di Azione) che hanno accusato la maggioranza di non fare nulla per la questione salariale. E mentre Renzi e Conte se
le davano di santa ragione a proposito delle regionali in Emilia, il capogruppo di Iv Davide Faraone annunciava l’astensione e non il voto contrario come nel dicembre scorso.
Allargate le maglie per le dimissioni in bianco
Poco dopo ecco una norma del ddl che «smonta» il Jobs act. La legge voluta dal governo Renzi (il decreto legislativo 151 del 2015) pur confermando il licenziamento individuale introdotto dalla legge Fornero, dettava norme stringenti (articolo 26) per contrastare il licenziamento mascherato da dimissioni volontarie del dipendente. Il ddl lavoro ha invece allargato le maglie di questi licenziamenti, dietro cui spesso si celano le cosiddette
dimissioni in bianco, che colpiscono soprattutto le donne al momento della maternità.
La proposta di modifica delle opposizioni poi bocciata
In commissione le opposizioni erano riuscite a far approvare una proposta di modifica migliorativa e in Aula la Dem Chiara Gribaudo ne aveva presentato un’altra che risolveva il problema reintroducendo l’obbligo dell’ispettorato di verificare tali dimissioni che era stato previsto dal Jobs Act. Anche qui le opposizioni hanno votato insieme, proprio mentre Conte affermava da Bruno Vespa che «il campo largo non esiste più». Ma anche in questo caso i voti della maggioranza hanno superato quelli delle opposizioni unite bocciando l’emendamento
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