Il ritmo si è fatto un po’ più lento, è vero. Il governo non procede più al passo di una sanatoria fiscale al mese. Ma comunque non riesce a smettere: da quanto si è insediato a ottobre 2022 ne ha già fatte a vario titolo venti, che a breve possono diventare ventuno o addirittura ventidue. L’ultimo colpo di teatro è la riapertura dei termini per aderire al concordato fiscale. La scadenza per accedere al nuovo meccanismo di rapporti con l’Agenzia delle Entrate riservato a Partite Iva e autonomi era stata fissata al 31 ottobre. Il governo, nonostante il pressing dei commercialisti, ha bocciato ogni richiesta di proroga dei tempi. Il ministero dell’Economia aveva infatti bisogno di capire subito quanti contribuenti hanno accettato il nuovo meccanismo e quanto sarà l’incasso. Le risorse saranno infatti destinate alla nuova fase della riforma dell’Irpef. La volontà è di ridurre di uno o due punti la seconda aliquota oggi al 35% e allargare lo scaglione di redditi che ne beneficia fino a 60mila euro.
Il nuovo regime dà infatti certezze sulle tasse che saranno pagate. Il meccanismo prevede che Partite Iva e Fisco si accordino su una proposta dell’Agenzia delle Entrate su quante tasse pagare nel biennio. Se il reddito alla fine è maggiore, per la parte in più si pagherà un’aliquota sostitutiva ridotta e comparata alla propria affidabilità fiscale. Se il reddito dichiarato sarà inferiore, le partite Iva potranno consolarsi sapendo di non dover temere controlli per il solo fatto di aver aderito al meccanismo e sapendo di aver potuto contare sulla possibilità di sanare redditi non dichiarati tra il 2018 e il 2022. Secondo alcune indiscrezioni, alla scadenza di fine ottobre il meccanismo ha attratto circa 70mila contribuenti, il 15% della potenziale platea di oltre 4 milioni. Soltanto attorno al 10 novembre si capirà di quanti miliardi il Tesoro e l’amministrazione fiscale potranno contare.
Fino all’ultimo il governo ha smentito la volontà di prorogare i termini per aderire. Una riapertura delle adesioni a conti già fatti non sarebbe però una proroga in senso stretto e la faccia verrebbe salvata. A farsi portavoce della necessità di intervenire è stato il sottosegretario all’Economia, Federico Freni, esponente leghista: “Forse è bene ricordare che il concordato è al suo debutto e che qualsiasi strumento fiscale ha bisogno di tempo per essere assimilato dai contribuenti”, ha detto a Repubblica indicando anche l’ipotesi di una nuova rottamazione. Che si tratti della quinta operazione per permettere al contribuente di sanare le pendenze con l’Agenzia della riscossione pagando a rate e senza sanzioni o more oppure della riapertura della rottamazione quater la cui ultima rata è prevista a novembre, non è ancora chiaro. Secondo quanto risulta ad Huffpost il pendolo pende per l’ipotesi riapertura.
Finora il governo è intervenuto venti volte tra cancellazione delle cartelle esattoriali sotto i mille euro, definizione agevolata degli avvisi bonari, rottamazione quater con tanto abbuono di sanzioni e interessi alla chiusura delle liti pendenti nei vari gradi di giudizio, scudo fiscale “salva-calcio” per permettere alle società sportive di spalmare i versamenti Iva su 5 anni e la regolarizzazione delle criptovalute non dichiarate.
E per attrarre contribuenti ogni intervento che arriva diventa sempre più generoso. Secondo un’analisi dell’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica, rispetto alle iniziative di pace fiscale messe in campo da Renzi, Gentiloni e Conte quelle del governo presieduto da Giorgia Meloni sono più generose. Molto dipende dal tipo di misura. Le rottamazioni, compresa la quater varata da Meloni e dal suo viceministro all’Economia, Maurizio Leo, prevedono il recupero del 72,2% del dovuto. Con la sanatoria ideata per attirare i contribuenti ad aderire al concordato preventivo la percentuale da pagare scendeva invece tra il 5% e il 7%. Una soglia più in linea con i generosi condoni di epoca berlusconiana (2001,2002 e 2009, in cui tale rapporto era compreso tra l’1,6 e il 3,6%.
Alle critiche sui regali a chi evade o elude le tasse il governo continua a replicare citando i dati dell’Agenzia della riscossione: 19,6 miliardi recuperati. Da rottamazione, pace fiscale e tregua fiscale ne sono arrivati 5,6 miliardi. Il grosso del recupero arriva dai versamenti diretti, dalle cartelle di pagamento affidate alla riscossione e dall’attività di compliance, che prevede l’invio di lettere ai contribuenti per sollecitarli. Sono i vecchi arnesi del mestiere del Fisco quindi.
Il futuro potrebbe riservare anche ulteriori sorprese. La riforma della riscossione prevede per le cartelle affidate alla Riscossione dal primo gennaio prossimo che se entro cinque anni l’agenzia non riuscirà a smaltirle queste tornino agli Enti per provare loro a riscuotere il dovuto. Un modo per porre un freno alla crescita del cosiddetto magazzino della riscossione ormai arrivato a oltre 1.200 miliardi. Per il passato si studiano modi per scalfire la montagna. Il Mef ha affidato il lavoro a una commissione di esperti. Una delle ipotesi che circola è affidare la gestione delle cartelle a una partecipata pubblica. In questo modo lo smaltimento resterà nel perimetro pubblico. Sotto l’ombrello del Mef esiste già una società che nella vita si occupa proprio di riscuotere debiti. È Amco, la società di gestione dei crediti deteriorati delle banche. Al momento tutto è fumoso, spiegano fonti vicine al dossier. Il nuovo piano industriale della società parla comunque di Ruolo sistemico nella gestione dei crediti deteriorati nell’interesse pubblico”. L’assegnazione a una spa, il cui scopo è “produrre valore dai crediti in portafoglio” ed è quindi incentivata ad avere indietro quanto spetta allo stato permetterebbe così di recuperare risorse, anche a favore dei Comuni. Uno dei nodi del magazzino riguarda proprio i conti degli enti locali, già oggi sotto pressione. I crediti rappresentano una posta attiva nei bilanci degli enti locali. La cancellazione dovrebbe quindi essere coperta con altri fondi.
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