Secondo le indagini della Guardia di Finanza il gruppo chiedeva finanziamenti per conto di società fittizie con finti operai, che venivano fatti sparire o spesi in auto di lusso e caravan. Tra gli arrestati Marco Savio, fratello del pm della direzione nazionale antimafia Paolo Savio
Per far credere alle banche che le aziende per le quali chiedevano finanziamenti avessero una vera operatività allestivano una specie di commedia, con falsi operai al lavoro e i cancelli di ingresso riverniciati in fretta. Ma era solo opera di maquillage: l’unico scopo del gruppo smantellato dalla Guardia di Finanza di Como era quello di rastrellare milioni dalla banche, che venivano in larga parte fatti sparire o spesi per auto di lusso, caravan e altri beni personali. Si tratta di soldi garantiti dallo Stato attraverso il Fondo di garanzia gestito da Mediocredito Centrale S.p.A, come emerso dall’inchiesta coordinata dalla procura di Monza diretta da Claudio Gittardi, che ha portato all’emissione di 19 misure cautelari da parte del gip Marco Formentin e al sequestro di beni per 13 milioni e 800mila euro. Sette le misure in carcere, altrettante quelle ai domiciliari e 50 provvedimenti all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria – nell’ambito dell’indagine denominata «Casa di carta» che ha riguardato un’associazione a delinquere dedita alle frodi ai danni dello Stato.
Tra i destinatari delle misure risulta anche Marco Savio, finito in carcere in qualità di titolare di un’agenzia finanziaria monomandataria che lavorava per Banca Progetto, l’istituto di credito finito in amministrazione giudiziaria per “prestiti disinvolti” a soggetti legati alla ‘ndrangheta. Il professionista è fratello di Paolo Savio, pm di Brescia trasferito alla direzione nazionale antimafia di Roma. Marco Savio è considerato l’anello di congiunzione tra gli imprenditori indagati e il mondo bancario: avrebbe rivestito un ruolo di promotore e organizzatore nel gruppo finito sotto inchiesta. In questo caso, comunque, Banca progetto e gli altri istituti coinvolti sono parti offese, in quanto avrebbero subito richieste di erogazioni di capitali fraudolenti. Il modus operandi prevedeva l’acquisizione di società in dissesto, la falsificazione dei bilanci e la successiva caccia ai finanziamenti.
«Immediatamente dopo l’accredito da parte della banca, la provvista ottenuta veniva impiegata in minima parte per pagare i costi “fissi” (ad esempio le rate di precedenti finanziamenti erogati ad altre società fantoccio che bisognava onorare per non far saltare anzitempo le truffe in corso), mentre la maggior parte era spesa per esigenze personali (quali l’acquisto di autovetture di grossa cilindrata e camper) o drenata con prelievo in contanti poi dirottati su conti esteri o di prestanome». Secondo quanto riferito dalla procura brianzola gli indagati, il cui quartier generale si trovava a Cinsello Balsamo, sono stati fermati mentre stavano mettendo a segno un’altra truffa milionaria.
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