Il ministro della Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo fa il bilancio sulla trasformazione tecnologica dell’Italia: «Siamo riusciti a trasformare la burocrazia da ostacolo a opportunità»
Ministro Paolo Zangrillo, a che punto è l’innovazione tecnologica nella Pubblica amministrazione?
«È un processo che stiamo affrontando con impegno e i progressi, in questi due anni, sono significativi. Con le nuove tecnologie stiamo semplificando le procedure per una Pa sempre più efficiente e vicina a cittadini e imprese. È un importante processo di modernizzazione, che non si limita a nuove dotazioni informatiche. Stiamo accompagnando le nostre persone in un cambiamento epocale per competenze e capacità. È un’autentica “rivoluzione” o, se vogliamo, una “nuova frontiera”. Mi piace citare Albert Einstein: “Un giorno le macchine riusciranno a risolvere tutti i problemi, ma mai nessuna di esse potrà porne uno”. Solo mettendo al centro le nostre persone potremo imprimere un reale e profondo cambiamento».
Rispetto al resto d’Europa, l’Italia è in ritardo?
«La transizione digitale è uno dei sei pilastri per le strategie di rilancio delle economie europee e il nostro Pnrr destina circa il 27% a investimenti in tecnologie, infrastrutture e processi digitali per promuovere la competitività del sistema Paese. Di queste risorse, circa 6,14 miliardi di euro sono per interventi per trasformare la Pa in chiave digitale. Se guardiamo all’Europa, il nostro Paese ha già raggiunto importanti traguardi. Secondo le rilevazioni della Commissione europea, l’Italia è al 2° posto per numero di applicazioni dell’intelligenza artificiale nel settore pubblico ed è al 1° per numero di progetti implementati e rilasciati. Inoltre, se si considera il punteggio Desi (l’Indice di digitalizzazione dell’economia e della società, ndr), negli ultimi cinque anni l’Italia ha registrato il balzo più consistente passando da 28,2 a 49,3 punti. Sono risultati significativi».
Perché avere una Pa più digitale è meglio?
«L’innovazione digitale consente di semplificare e velocizzare le procedure, riducendo i tempi di attesa per cittadini e imprese e aumentando la trasparenza nei processi decisionali. Penso all’interoperabilità dei servizi e agli sportelli unici per le attività produttive (Suap): il Dipartimento della funzione pubblica ha stanziato circa 30 milioni per dotare tutti i Comuni di strumenti all’avanguardia e funzionali per garantire un efficiente funzionamento della macchina amministrativa. Con il fascicolo informatico di impresa trasformiamo la burocrazia da ostacolo a opportunità. Una Pa più digitale significa inoltre servizi più inclusivi e accessibili, anche nelle aree più periferiche del Paese. Con il progetto Polis portiamo il rilascio dei passaporti anche nei piccoli Comuni attraverso gli uffici postali. Sono passi concreti verso una Pa al servizio di tutti, omogenea e rapida».
Cosa manca per una Pa più tecnologica?
« I fronti su cui stiamo lavorando sono diversi, a cominciare dalla formazione delle nostre persone. Abbiamo triplicato il tempo minimo della formazione annuale, quasi tre giorni l’anno, quando era meno di un giorno. Su Syllabus, la piattaforma digitale per la formazione continua dei dipendenti pubblici, abbiamo appena lanciato il nuovo corso “Introdurre all’intelligenza artificiale” per una panoramica su potenzialità e rischi di questa tecnologia digitale».
L’età media dei dipendenti della Pa è di 49 anni: può influire nel processo di digitalizzazione?
«Nei primi otto mesi di quest’anno abbiamo bandito oltre 13mila concorsi, per circa 288 mila posizioni, ricevendo un numero record di candidature: ben 2 milioni e 100 mila. Questa massiccia campagna di reclutamento ci ha permesso di registrare per la prima volta da qualche anno una inversione di tendenza sull’età media dei dipendenti pubblici, ora in calo a 49 anni e mezzo. Un risultato favorito dalla digitalizzazione dei concorsi: la piattaforma inPA, al posto della Gazzetta Ufficiale, ne ha ridotto la durata da 780 giorni ad appena sei mesi, è fondamentale per attrarre i migliori talenti di questo Paese e assicurare alla nostra organizzazione le competenze delle nuove generazioni».
Una Pa tecnologicamente avanzata può essere più attraente per i giovani?
«Certamente. Oggi i giovani non cercano solo il “posto fisso”, ma anche opportunità di crescita, ambienti di lavoro dinamici e meritocratici, e soprattutto la possibilità di fare la differenza. Stiamo lavorando proprio in questa direzione, introducendo strumenti innovativi come l’apprendistato e il contratto di formazione per giovani laureati e studenti. Inoltre, abbiamo creato programmi come Tirocini InPA e Dottorati InPA, per far conoscere ai giovani il mondo della Pa e offrire loro opportunità di crescita professionale. Vogliamo che la Pa diventi non solo un luogo di stabilità ma un trampolino di lancio per carriere stimolanti, dove il merito viene riconosciuto e valorizzato».
La Pa è pronta per la sfida dell’intelligenza artificiale?
«Sì, la Pa è consapevole del suo potenziale enorme. Abbiamo creato un team dedicato per studiarne l’applicazione per migliorare l’efficienza e la qualità dei servizi. Su alcune tematiche si è in fase di sperimentazione e si prevedono rilasci di servizi ai cittadini entro la fine del 2024. L’obiettivo è garantire che l’AI sia utilizzata in modo sicuro, trasparente ed efficace, senza lasciare indietro nessuno. Questo non significa sostituire il lavoro umano, ma piuttosto affiancarlo, migliorando le capacità dei dipendenti pubblici e ottimizzando i processi».
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