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Quanto costano i ritardi sul Tfr e Tfs dei dipendenti pubblici? #finsubito prestito immediato


Uno dei principali problemi che, purtroppo, attanaglia i dipendenti pubblici riguarda l’erogazione del Trattamento di fine rapporto o di fine servizio, Tfr e Tfs: quanto costano i ritardi nei pagamenti?


Infatti, le somme spettanti a ciascun dipendente pubblico, alla cessazione del proprio rapporto di lavoro, vengono erogate con notevoli ritardi, sia a causa della normativa, sia di fattori come la carenza di personale e la non adeguata formazione dei dipendenti presenti.

Prima di analizzare più dettagliatamente la questione, è opportuno innanzitutto chiarire la distinzione tra Tfs e Tfr.

Differenze tra Tfs e Tfr

Ebbene, con l’espressione “trattamento di fine servizio (TFS)” si fa riferimento all’indennità che viene erogata ai lavoratori pubblici al termine del rapporto di lavoro, qualora essi siano stati assunti dalla Pubblica amministrazione in una data anteriore al 1° gennaio 2001. Da tale data in poi, infatti, ai nuovi lavoratori è stato riconosciuto il Tfr.

La principale differenza risiede nelle modalità di calcolo. Il Tfs è calcolato in base all’ultima retribuzione annua del dipendente. In particolare, si prende in considerazione l’80% di un dodicesimo dell’ultima retribuzione annua moltiplicata, poi, per gli anni di servizio prestati

Il Tfr, trattamento di fine rapporto, invece viene calcolato considerando la somma delle retribuzioni lorde annue (comprensive di tredicesima ed eventuale quattordicesima). Il risultato va diviso per 13,5 e sottratto dal contributi INPS (0,5%). La somma ottenuta va, poi, rivalutata con gli indicatori ISTAT anno per anno.

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La questione dei ritardi nei pagamenti di Tfs e Tfr dei dipendenti pubblici

Fatta questa premessa, torniamo alla questione centrale di questo articolo, ovvero i ritardi nell’erogazione del Tfs/Tfr ai dipendenti pubblici.

Normalmente, i tempi di erogazione del Tfs/Tfr dei dipendenti pubblici variano da 105 giorni a 24 mesi, a seconda delle cause effettive di cessazione del rapporto lavorativo.

Più nel dettaglio, il pagamento avviene:

  • entro 105 giorni, in caso di cessazione del rapporto per inabilità o per decesso;
  • dopo 12 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro, quando questa avviene per raggiungimento del limite di età o a causa del termine del contratto a tempo determinato, oppure per risoluzione unilaterale del datore di lavoro a seguito del raggiungimento dei requisiti della pensione anticipata;
  • dopo 24 mesi dalla cessazione in tutti gli altri casi.

Con riferimento invece alle somme da erogare, esse vengono liquidate:

  • in un’unica soluzione, qualora l’ammontare lordo sia inferiore o corrispondente a 50.000 euro;
  • in 2 rate annuali, in caso di importo lordo compreso tra 50.000 e 100.000 euro;
  • in 3 rate annuali, qualora la cifra lorda complessiva sia maggiore di 100.000 euro.

Perché è un problema?

Per comprendere l’entità del problema, è necessario partire da alcuni dati forniti dal Conto annuale della Ragioneria Generale dello Stato.

L’indagine del 2022 evidenzia che quell’anno hanno lasciato il lavoro 111.467 dipendenti pubblici: 53.023 per limiti d’età e 64.467 per dimissioni con diritto a pensione (inclusi meccanismi come quota 101 e altre forme di prepensionamento). I primi avevano diritto a ricevere fino a 50 mila euro lordi di Tfr/Tfs a distanza di 12 mesi dal pensionamento, con saldo a completamento entro altri 12 mesi. Chi è uscito anticipatamente, invece, poteva avere il proprio trattamento di fine rapporto, sempre rateizzato, solo due anni dopo aver raggiunto l’età pensionabile (ciò significa anche un’attesa che può durare cinque anni). Tuttavia, secondo varie stime, per entrambe le categorie, l’attesa media per ottenere la buonuscita è di almeno tre anni.

Il costo di queste erogazioni in ritardo

Stando alle elaborazioni dell’Ufficio previdenza della Cgil, i dipendenti che hanno terminato il lavoro nel 2022 usufruendo della pensione anticipata (42 anni e 10 mesi, o 41 anni e 10 mesi per le donne), con uno stipendio di 30.000 euro, si trovano a fronteggiare una perdita complessiva di 17.958 euro, rispetto a un Tfs inizialmente stimato di 86.000 euro. Tale riduzione è causata da due penalizzazioni: in primo luogo, l’inflazione ha eroso il valore reale delle somme percepite tra la fine del rapporto e il pagamento del Tfs; inoltre, pesa la mancanza di guadagni che questi importi avrebbero generato se fossero stati investiti al momento della cessazione lavorativa. Le perdite incrementano all’aumentare della retribuzione: chi guadagnava 40.000 euro subisce una riduzione pari a 25.310 euro, mentre per chi aveva uno stipendio di 60.000 euro la perdita totale ammonta a 41.290 euro.

Al 30 novembre 2022, dopo 43 anni di servizio, un dipendente della pubblica amministrazione con uno stipendio lordo di 30.000 euro aveva diritto a un Tfs nominale di 86.000 euro, di 114.667 euro per chi guadagnava 40.000 euro e di 172.000 euro per chi percepiva 60.000 euro. Tuttavia, a causa dei pagamenti rateizzati oltre la soglia di 50.000 euro, questi dipendenti riceveranno un Tfs effettivo di 73.340, 97.252 e 144.559 euro rispettivamente. In termini di perdita economica, ciò equivale a una riduzione di 12.660 euro per chi percepiva 30.000 euro, che aumenta a 17.415 euro per chi guadagnava 40.000 euro e a 27.441 euro per un reddito di 60.000 euro.

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L’assenza di guadagni

A tali perdite si somma l’assenza di guadagni, che sarebbe stata possibile se gli importi maturati fossero stati liquidati alla cessazione e investiti con un tasso di rendimento annuo del 2,5%, analogamente a quanto avviene per i lavoratori del settore privato. In questo scenario, l’analisi della Cgil stima un mancato rendimento di 5.298 euro per un Tfs di 86.000 euro e una retribuzione di 30.000 euro; di 7.895 euro per un Tfs di 114.667 euro e stipendio di 40.000 euro; e di 13.849 euro per un Tfs di 172.000 euro e reddito di 60.000 euro.

Combinando questi due fattori, emerge chiaramente che per un lavoratore con un reddito di 30.000 euro che ha lasciato il servizio al 30 novembre 2022 e un Tfs stimato di 86.000 euro, la perdita complessiva risulta pari a 17.958 euro. Tale perdita sale a 25.310 euro per chi percepiva un salario di 40.000 euro e un Tfs di 114.667 euro, mentre chi guadagnava 60.000 euro e ha maturato un Tfs di 172.000 euro registra una perdita totale di 41.290 euro.

Una vicenda incostituzionale?

Sulla questione, si è pronunciata anche la Corte Costituzionale la quale, con la sentenza 130/2023, ha dichiarato anticostituzionale il differimento e la rateizzazione del Tfr e del Tfs dei dipendenti pubblici in quanto in contrasto con il principio della giusta retribuzione, di cui all’art. 36 Cost., che garantisce una retribuzione adeguata alla qualità e quantità del lavoro, tale da permettere al lavoratore e alla sua famiglia di condurre una vita dignitosa.

Ricordiamo inoltre che, già nel 2019, la Consulta era intervenuta in materia, allorquando aveva chiesto al legislatore di porre rimedio ai significativi ritardi nelle liquidazioni.

Tuttavia, nonostante sia ormai trascorso più di un anno dalla sentenza della Consulta, il Governo non è ancora intervenuto.

Il parere del CIV dell’Inps

Al riguardo, è altresì intervenuto il Consiglio di Indirizzo e Vigilanza (CIV) dell’Inps, ossia l’organo che predispone le linee di indirizzo generale e gli obiettivi strategici dell’INPS. Il CIV, al fine di consentire l’erogazione di Tfs e Tfr in tempi accettabili, ha adottato la deliberazione n. 2/2024, relativa alle anticipazioni Tfs/Tfr da parte del Fondo Welfare e le liquidazioni per gli iscritti ai fondi di previdenza negoziale Perseo Sirio ed Espero. Con tale delibera, il CIV ha chiesto agli organi di gestione dell’Inps di elaborare un progetto volto alla riduzione dei tempi di erogazione di Tfs e Tfr, nonchè delle anticipazioni e dei versamenti ai fondi di previdenza negoziale.

Il CIV ha inoltre evidenziato che i significativi ritardi nelle erogazioni sono dovuti sia a problemi di natura normativa, sia a circostanze legate alle carenze di personale, nonché alla scarsa formazione del personale impiegato. Per colmare tali lacune, nella delibera 2/2024, si sollecita l’inserimento di nuove risorse umane dedicate allo svolgimento di tali prestazioni, nonché la predisposizione di percorsi di formazione specifica per i dipendenti dell’INPS e delle P.A. coinvolte nei processi di liquidazione delle prestazioni.

Considerazioni finali

In conclusione, i ritardi nell’erogazione del Trattamento di fine rapporto o di fine servizio hanno conseguenze significative sulle finanze dei dipendenti pubblici, dal momento che gli stessi vengono privati di ingenti somme.

Un primo problema attiene all’inflazione che, inevitabilmente, riduce il valore reale del denaro e conseguentemente il potere d’acquisto delle somme spettanti a ciascun lavoratore. Questo significa che, pur ricevendo l’importo nominale, il lavoratore, in concreto, disporrà di una somma inferiore e potrà acquistare meno beni e servizi rispetto a quanto avrebbe potuto se il trattamento fosse stato erogato al momento della cessazione del rapporto di lavoro.

Il ritardo nei pagamenti inoltre impatta anche sulla pianificazione finanziaria personale. Molti lavoratori contano sul Tfr/Tfs per affrontare spese importanti come l’acquisto di una casa, la ristrutturazione della propria abitazione, o per aiutare economicamente i propri figli. La mancanza di liquidità immediata costringe alcuni a rivolgersi a prestiti o ad altre forme di finanziamento per coprire queste necessità.

Infine, risulta netto il divario con il settore privato, il che genera una percezione di disparità e di disuguaglianza economica. I dipendenti privati, che possono beneficiare del TFR in tempi rapidi, godono di una maggiore sicurezza finanziaria post-lavorativa e della possibilità di pianificare al meglio le proprie finanze personali.

 



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