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Politiche attive: un insieme di misure utili alla formazione dei lavoratori #finsubito prestito immediato


Il dibattito sul futuro del Lavoro del nostro Paese richiede visione e orizzonti molto ampi.

Alcune questioni sono davvero cruciali, e richiederebbero risposte immediate:

  • la partecipazione dei giovani al mercato del lavoro; 
  • la carenza di un’ offerta di lavoro adeguata alla domanda delle imprese che investono e che crescono;  
  • la necessità di sostenere la riqualificazione delle competenze dei lavoratori espulsi dai processi produttivi ma anche quelli occupati e a rischio di disoccupazione;
  • il reingresso nel mercato del lavoro dei lavoratori rimasti senza lavoro;
  • il ricambio generazionale.

La strategia europea per l’occupazione Europa 2020 pone lo sviluppo di conoscenze capacità e competenze, quale premessa per la crescita economica e dell’occupazione attraverso percorsi di apprendimento più flessibili.   

Occorre allargare la base culturale necessaria ad un migliore funzionamento del mercato del lavoro, tanto negli operatori che nei beneficiari delle misure, potenziando i servizi disponibili sul mercato del lavoro e avviando una serie di interventi di formazione e di attivazione che possano adeguare le competenze ai “lavori del futuro” di un numero importante di soggetti, a partire da quelli più svantaggiati.

Siamo chiamati a colmare i ritardi, anche in termini di competenze, che scontiamo nei confronti degli altri partners europei. È arrivato il momento di incanalarsi nel “solco europeo”, facendo tesoro delle indicazioni delle Linee guida per l’occupazione e dei principi del Pilastro europeo dei diritti sociali, nonché degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030.

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Per efficientare le politiche attive occorre cambiare il paradigma con cui sono pensate e cioè soccorso immediato al disoccupato nella ricerca di un nuovo posto di lavoro.

Le politiche attive, invece, vanno viste come un insieme di misure e di strumenti utili non solo (e non tanto, almeno nella visione delle imprese) per il reinserimento di disoccupati nel mercato del lavoro, quanto piuttosto per la formazione dei lavoratori (sia in termini di upskilling e reskilling), per lo sviluppo delle carriere, in uno con i processi di riorganizzazione che le imprese sempre più spesso devono affrontare nel corso di profonde transizioni verso il digitale e l’economia green. Le politiche attive devono, in questa prospettiva, seguire una logica anticipatoria, non riparatoria, e rivolgersi a tutti i lavoratori.  

Il mismatch tra domanda e offerta di lavoro

La cifra del fallimento delle politiche attive come le abbiamo conosciute finora è data dall’ enorme paradosso costituito dal cd. mismatch.

Le indagini sulla materia (Excelsior Unioncamere – Ministero del Lavoro) attribuiscono la difficile reperibilità dei profili professionali richiesti dalle imprese a due fenomeni: la carenza di candidati e l’inadeguata preparazione dei potenziali lavoratori.

Nella carenza di candidati si concentrano i due estremi del mercato del lavoro: i profili con elevata specializzazione tecnico scientifica, con incidenze superiori al 60% della domanda espressa dalle imprese, e il personale poco qualificato chiamato a svolgere le prestazioni lavorative più disagiate con incidenza inferiore rispetto alle richieste, circa il 25%, ma con un peso specifico rilevante sul complesso delle assunzioni. Per cercare di rimediare il deficit di personale poco qualificato è aumentata la propensione delle imprese verso le assunzioni di persone immigrate che rappresentano, allo stato attuale, circa il 20% del totale dei nuovi avviamenti.

Negli ultimi anni l’incremento esponenziale della quota dei profili difficilmente reperibili, dal 24% al 42% sul complesso della domanda di lavoro, è essenzialmente attribuibile alla crescita della carenza di candidati. Segno del progressivo degrado del raccordo tra i percorsi formativi e quelli lavorativi, e della mancanza di ricambio generazionale nelle mansioni specializzate acquisite tramite esperienze professionali sul campo. Significativo, e preoccupante, il fatto che le percentuali della difficile reperibilità risultino superiori per le imprese che intendono assumere i giovani.

L’impatto delle tecnologie digitali è destinato a esasperare queste contraddizioni. Le proiezioni sui nuovi fabbisogni configurano una crescita rilevantissima della domanda di figure tecniche specializzate e un progressivo raddoppio della relativa quota sul totale della domanda di nuove assunzioni (32%), anche per il contributo offerto dalla ripresa delle assunzioni nella Pubblica amministrazione. 

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Il paradosso si completa quando poi si riscontra che nel nostro Paese ci sono 2,4 milioni di disoccupati e circa 2,1 milioni di NEET! Ecco perché si diceva che dovrà mutare il paradigma, con una visione delle politiche attive più come strumenti di supporto al cambiamento che come leve di attivazione dei disoccupati per il reinserimento nel mercato del lavoro.

Gli strumenti di politica attiva

Il PNRR da questo punto di vista sta rappresentando una potente spinta per l’ammodernamento del nostro sistema delle politiche attive, c’è da sperare che non si perda l’occasione.

Proviamo a disegnare gli strumenti che sono stati messi in campo e capire qual è la strategia che si sta attuando per incidere definitivamente sulla cronica inefficienza dei nostri servizi per il lavoro.

Si parte nel 2021 con Il Piano Nazionale Nuove Competenze (PNC) che si colloca come quadro di coordinamento strategico per gli interventi di aggiornamento e qualificazione/riqualificazione volti a fronteggiare i fabbisogni di nuove competenze derivanti dalle transizioni digitali ed ecologiche e dagli effetti della pandemia da COVID 19 e, in particolare, per le misure contenute nelle iniziative di riforma e investimento varate dal Governo italiano con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) nell’ambito della Missione 5, componente 1 (oltre che la Missione 4, con riferimento al sistema dell’istruzione). In questo contesto si inseriscono infatti:

a) il Programma di riforma Garanzia per l’Occupabilità dei Lavoratori (GOL), l’iniziativa che costituisce il perno dell’azione di riforma delle politiche attive per il lavoro, rispetto al quale il PNC orienta più specificamente, in una logica integrata, le misure riguardanti la formazione professionale dei beneficiari nel Programma, in sinergia con il Piano straordinario di rafforzamento dei centri per l’impiego, già finanziato in buona parte a valere sul bilancio dello Stato e che diventa parte anch’esso del PNRR.

b) Il Programma di investimento Sistema Duale (SD) che promuove l’acquisizione di nuove competenze da parte dei giovani, favorendo il matching tra il sistema dell’istruzione e della formazione e il mercato del lavoro attraverso il potenziamento delle misure di alternanza e segnatamente del contratto di apprendistato duale.

Nel medesimo quadro di coordinamento strategico si colloca anche il Fondo Nuove Competenze (FNC), finanziato a valere su fondi nazionali e risorse del Fondo Sociale europeo, finalizzato a promuovere l’aggiornamento dei lavoratori di imprese che hanno stipulato intese o accordi collettivi di rimodulazione dell’orario di lavoro in risposta alle innovazioni di processo, prodotto o di organizzazione.

Il 30/3/2024, previa intesa in Conferenza Stato Regioni, è stato adottato, con Decreto interministeriale a firma congiunta del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali e dal Ministro dell’Economia e delle Finanze, il nuovo Piano Nuove Competenze – Transizioni.

L’obiettivo della riforma è quello di dotare il Paese di un efficace e stabile meccanismo di contrasto al disallineamento delle competenze (skills mismatch). Con l’adozione del Piano Nuove Competenze-Transizioni e la relativa Roadmap, si è aggiornato il “Piano Nuove Competenze”, precedentemente adottato con decreto del 14 dicembre 2021. La Roadmap delinea gli step procedurali delle attività da realizzare e definisce alcuni principi generali da sviluppare e declinare normativamente a livello regionale:

  • maggiore coinvolgimento del settore privato nell’offerta formativa;
  • migliore riconoscimento della formazione sul lavoro e delle micro-credenziali;
  • implementazione di sistemi di analisi ex ante del mercato del lavoro e monitoraggio degli effetti occupazionali della formazione finanziata.

Le leggi regionali dovranno introdurre:

  • meccanismi per garantire che le attività formative siano pianificate sulla base dei fabbisogni espressi dal mercato del lavoro, dando priorità a quelle in cui si verifica il maggiore disallineamento delle competenze;
  • l’obbligo di indicare gli esiti occupazionali stimati nei bandi e nei bandi formativi;
  • il riconoscimento della formazione in azienda;
  • il riconoscimento delle competenze acquisite e percorsi formativi brevi (le cosiddette micro-credenziali);
  • meccanismi per incoraggiare il cofinanziamento privato.

Politiche attive e formazione

Ci troviamo di fronte a una rivoluzione pressoché epocale perché finalmente si connettono le politiche attive con la formazione, partendo però dalle esigenze delle aziende e abolendo gli inutili cataloghi regionali. Si ha ancora uno scatto in avanti, poi, quando si afferma che la formazione va monitorata e ne vanno censiti gli esiti occupazionali, così si potrà fare selezione fra gli enti di formazione attribuendo a essi un rating.

Il progetto contiene ancora un importante e altrettanto rivoluzionario intervento che è il decreto del Ministero del Lavoro del 9/7/24, recante “Disciplina dei servizi di individuazione, di validazione e di certificazione delle competenze relativi alle qualificazioni di titolarità del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali”. Questo provvedimento disciplina, tra l’altro, la valorizzazione delle competenze acquisite in contesti di apprendimento formale e non formale, attuando quello che dieci anni fa era stato introdotto dalla legge Fornero. In questo caso si permetterà di arricchire il proprio zainetto professionale con i periodi formativi certificati secondo uno standard che le regioni dovranno adottare in coordinamento fra loro, per evitare le solite odiose differenziazioni territoriali spesso causa di sperequazioni nei servizi al lavoro offerti, che per loro natura, invece, dovrebbero essere uguali per ogni cittadino, indipendentemente dalla residenza.

Da ultimo, ma non per ultimo, il cerchio si chiude con la realizzazione della piattaforma SIILS che, nata per gestire l’evoluzione del reddito di cittadinanza, in realtà realizza il vecchio progetto della Borsa Nazionale continua del lavoro che risale alla legge Biagi. Questa piattaforma deve divenire lo snodo di tutte le informazioni che riguardano i servizi al lavoro, dove si potranno effettuare direttamente gli incroci tra i fabbisogni delle aziende e i profili inseriti nella banca dati, sfruttando anche l’intelligenza artificiale. Per non parlare del monitoraggio della formazione   che potrà essere orientata rispetto alle reali esigenze del mercato del lavoro. In buona sostanza quello che ha diviso l’art. 117 della costituzione, potrà unire la tecnologia!

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