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La sentenza emessa nell’ambito del procedimento scaturito dall’operazione denominata in codice “Prisoner’s tax”
09 ottobre 2024 22:29
di STEFANIA PAPALEO
In Corte d’Appello avevano già ottenuto uno sconto di pena. Ma adesso per quattro di loro si riapre di nuovo la partita legale. La Corte di Cassazione, infatti, ha annullato, con rinvio a una nuova sezione di secondo grado, la sentenza emessa nell’ambito del procedimento penale scaturito dall’operazione denominata “Prisoners tax” che, nel luglio del 2019, aveva stroncato una redditizia attività di spaccio (cocaina, hashish e marijuana) portata avanti nei comuni di San Sostene, Davoli, Montepaone e Gasperina. E così per Sergio Scicchitano (difeso dagli avvocati Pietro Chiodo e Giuseppe Ioppolo del foro di Roma), di Spadea (difeso dall’avvocato Valerio Vianello Accoretti del foro di Roma), di Carmela Vono e Matteo Arena, si riparte dall’annullamento della condanna che avevano riportato in ordine al reato di associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico, mentre per gli altri imputati sono stati dichiarati inammissibili i rispettivi ricorsi.
LEGGI QUI LA SENTENZA D’APPELLO ANNULLATA OGGI DALLA CASSAZIONE
Toccherà alla Corte d’appello di Catanzaro, adesso, fissare il nuovo processo, nel quale si tornerà a parlare di quel presunto vorticoso giro di droga scoperto nel Soveratese. Oltre cento episodi di spaccio. Ma anche decine di estorsioni. Un teatro di criminalità crescente e pervasivo, invadente, soffocante. Di questo si parla nelle carte della pubblica accusa, di un’organizzazione strutturata, articolata, gestita in modo scientifico con il pensiero sempre fisso in testa: raccogliere denaro per mantenere amici e parenti detenuti in tutta Italia. Con un filo diretto a San Luca e che finisce ad Avellino.
Al centro della scena, un bar di San Sostene, sede operativa dell’organizzazione criminale, dove gli imputati avrebbero lasciato, conservato, custodito la droga per poi rivenderla nel soveratese, da Davoli a Gasperina, da Montepaone a San Sostene. Un collegamento che portava a San Luca, storico capoluogo della ‘ndrangheta e roccaforte dei Nirta-Strangio, e a Guardavalle, casa della famiglia Gallace. Su tutti, Domenico Procopio, in qualità di reggente della cosca Procopio-Mongiardo. E senza transigere sui conti da saldare. Pur di far quadrare il cerchio del bilancio interno, infatti, sarebbero stati disposti a qualsiasi cosa, anche a minacciare i genitori degli assuntori, con frasi tipo: “Ti buttiamo giù la casa con una pala” o “Vi buco gli occhi, voi volete pestata la testa ed io ve la pesto”.
Da lì gli arresti e l’avvio dei processi. Il 19 aprile del 2021 le prime condanne (LEGGI QUI LA SENTENZA DI PRIMO GRADO). Il 21 dicembre del 2022 la sentenza in Appello (LEGGI QUI LA SENTENZA DI SECONDO GRADO). Oggi la decisione dei Supremi giudici, che aggiunge un ulteriore capitolo all’ennesima storia di droga che coinvolge il Soveratese.
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