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Volendo delineare i principi che saranno seguiti nella prossima legge di Bilancio 2025, occorre estrapolare i contenuti salienti delle dichiarazioni del ministro dell’Economia Giorgetti e del vicepremier Salvini. Non bisogna, infatti, dimenticare che essi si sono rivolti al pubblico «di casa», la spina dorsale leghista, più attenta alle ragioni del lavoro, delle partite Iva, della piccola impresa che a divagazioni universaliste.
Ecco, quindi, che per cercare di trovare il significato profondo dei due interventi non si deve pensare a una volontà punitiva di chi consegue grandi profitti (come banche, fondi di investimento, imprese energetiche, della difesa, colossi del web e quant’altro), ma alla tutela di quella che è sempre stata la spina dorsale del consenso leghista. Allo stesso modo, occorre sempre ricordare quali siano le basi di partenza della prossima manovra: su 25 miliardi stimati a oggi si possono considerare «raccolti» 3,5 miliardi dall’abolizione dell’Ace, circa 9 miliardi dalla traiettoria programmatica del deficit rispetto a quella tendenziale e circa 2,5 miliardi dalla spending review. Mancano ancora 10 miliardi da recuperare soprattutto attraverso gli sconti fiscali.
Si tratta, quindi, di provare a dissipare le incertezze sulle modalità con cui sarà reperita la cifra restante. Saranno tagli oppure tasse sottoforma di addizionali per chi consegue redditi più elevati? Proviamo a ripartire da quello che Giorgetti ha detto sia ieri sia mercoledì nell’intervista a Bloomberg. Il concetto di sacrifici va inteso nel senso che «non si intende tassare il lavoro». Non a caso il governo ha premiato e continuerà a premiare lavoratori e imprese tramite taglio del cuneo (14 miliardi), detassazione dei fringe benefit e flat tax per le partite Iva proprio perché queste sono categorie che già fanno sacrifici.
E chi debba, invece, essere costretto a rinunciare a qualcosa lo ha individuato la Corte Costituzionale con la sentenza 111 del 2024. Interpellata sulla legittimità della tassazione degli extraprofitti delle società energetiche introdotta da Draghi nel 2022, la Consulta ha stabilito che il metodo di calcolo dell’imposta era sbagliato (poiché nell’imponibile si includevano anche le accise). Corrisponde, invece, al mandato dell’articolo 53 della Costituzione – anch’esso più volte citato da Giorgetti in riferimento alla progressività dell’imposizione in base ai redditi – la tassazione delle imprese che hanno conseguito profitti straordinari a causa della crisi energetica. Esse devono contribuire maggiormente in base al principio di solidarietà sociale.
Quindi, essendo costituzionalmente legittimo il principio, bisognerà vedere se il Tesoro insisterà più sulla rimodulazione dell’Ires tramite il dlgs Irpef (e inasprendo la web tax) oppure se farà pendere maggiormente la bilancia dalla parte del taglio delle spese fiscali (bonus e sussidi).
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