Left on McKinney di Caleb Hearn: la recensione dell’album #finsubito prestito immediato

Medicinali e amore (specie nella sua forma profonda, anche di mutuo sostegno). Chi può negare che siano due cose centrali dell’esperienza umana?

Non è quindi affatto un cattivo segno che se ne occupi Caleb Hearn, 23enne cantautore americano. Basta seguire il percorso che va da Klonopin (ballata che prende il nome dalla versione Usa del clorazepam, una benzodiazepina da ansiolitici) e Little bit better, duetto fatato con Rosie, neyworkese cantautrice mononome.

Canzoni balsamiche, di quelle che dopo sembra che tutto vada (come dal titolo) un po’ meglio. Sullo sfondo si sente la scuola country pop della Nashville dove vive, suona e approda ora, senza artifici sonori, al primo album Left On McKinney.

Il titolo contiene indicazioni stradali per raggiungere casa dei nonni e quindi riporta a Mount Airy (Carolina del Nord), paese dal nome pastorale e bucolico, di una «pancia» americana troppo spesso solo sognata. Il merito di Caleb Hearn è di renderla più reale e ravvivarla con la sua poetica fatta anche di dolore, accadimenti funesti, mesta attualità.

Se le parole non scherzano, la voce è raggiante di pulizia interiore, specchio di un’anima adeguatamente dalla parte di chi combatte battaglie silenziose. Gentile, quindi: ecco la qualità che la musica di Caleb Hearn ha dato agli ascoltatori che lo hanno sollevato dal flusso di YouTube e affini. Per proiettarlo, con oltre 700 milioni di ascolti, sul palco dei talenti da seguire.