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Cambio d’uso e sanatoria respinta? Si riprova con il Salva casa! #adessonews

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Il CdS interviene ad arbitrare un caso di cambio di destinazione d’uso rilevante il cui giudizio si è protratto tra vecchia normativa e il recente decreto Salva casa più permissivo

La recente introduzione del decreto “Salva casa” ha acceso la speranza in molti, promettendo di semplificare la vita a chi si trova intrappolato tra normative obsolete e nuove opportunità. Ma quale delle due normative avrà l’ultima parola? Sarà la vecchia regola della “doppia conformità” a prevalere o il nuovo decreto riuscirà a risolvere situazioni complesse come quella del protagonista del caso che andremo a scoprire tra poco? In questo intricato balletto giuridico, ci troviamo ad esplorare le possibilità e le sfide che emergono quando passato e presente si scontrano nel campo del diritto edilizio.

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A dissipare queste incertezze ci ha provato con una prima risposta il Consiglio di Stato attraverso una recente sentenza, forse una delle prime del genere, sicuramente in apertura di una lunga serie di contenziosi tra vecchia e nuova normativa.

Intanto per gestire gli incarichi del “Salva casa” potrebbe tornarti utile una soluzione cloud per studi tecnici e professionisti con applicazioni per la gestione online delle pratiche edilizie, l’archiviazione sicura dei documenti, la condivisione rapida e la portabilità dei progetti.

Entriamo quindi nel vivo del caso proposto dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 7486/2024.

Cosa accade a quelle controversie giudiziali che si sono trovate a cavallo tra vecchia normativa e decreto Salva casa? Di quale normativa i giudici terranno conto per emettere il loro verdetto?

Un privato presentava un ricorso al Tar contro il Comune di Napoli, contestando il respingimento della sua richiesta di annullamento del diniego di accertamento di conformità e l’ordinanza di ripristino riguardanti opere eseguite nel suo immobile.

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Il protagonista della vicenda era proprietario di due unità immobiliari di cui una al piano rialzato e adibita a deposito, site in un fabbricato in centro storico. Nel 2019 richiedeva un accertamento di conformità per cambio di destinazione d’uso dei locali da deposito a residenza. Tuttavia, il Comune rigettava la domanda, motivando che l’area rientrava in una zona storica e nella zona rossa vesuviana, dove il cambio di destinazione d’uso residenziale non è consentito.

Successivamente il Comune ordinava il ripristino dello stato dei luoghi, richiedendo la rimozione delle opere considerate abusive.

Il Tar infine respingeva il ricorso, confermando la legittimità del diniego e dell’ingiunzione di ripristino.

Di seguito sono elencate in dettaglio le principali argomentazioni di difesa presentate:

  • collocazione dell’immobile. Il ricorrente sosteneva che l’immobile non fosse situato all’interno della zona rossa vesuviana, contrariamente a quanto affermato dal TAR. Egli contestava la perimetrazione della zona rossa avvenuta successivamente, affermando che l’immobile si trovasse al di fuori di essa e quindi non soggetto ai divieti relativi al cambio di destinazione d’uso;
  • necessità del parere della Soprintendenza. Un altro punto sollevato è stato che non fosse necessario acquisire il parere della Soprintendenza per il cambio di destinazione d’uso. Il ricorrente affermava che, in ogni caso, tale parere avrebbe dovuto essere richiesto d’ufficio dal Comune e che la sua assenza non poteva giustificare il diniego dell’accertamento di conformità;
  • caratteristiche abitative dell’immobile. Il ricorrente affermava che l’immobile aveva già le caratteristiche di un’unità abitativa sin dalla sua costruzione, prima dell’istituzione della zona rossa.
  • validità delle opere eseguite. Infine, il ricorrente argomentava che le opere realizzate dovessero essere considerate legittime e che l’ingiunzione di ripristino fosse infondata, in quanto non era stata dimostrata l’illegittimità delle opere stesse. Egli richiedeva che venisse riconosciuta la possibilità di regolarizzare le opere attraverso una sanzione pecuniaria piuttosto che la demolizione.

Detto questo, il ricorrente si appellava al Consiglio di Stato facendo presente di aver inoltrato una successiva istanza di sanatoria per il cambio di destinazione d’uso da deposito a residenza in base al decreto legge n. 69 del 2024 c.d. “Salva casa” (all’epoca non ancora convertito con modificazioni dalla legge n. 105 del 2024) e sul quale il Comune ancora non si era pronunciato.

Per il CdS la seconda istanza di sanatoria basata sul Salva casa non può influire sull’attuale giudizio. Può solo sospendere l’efficacia dell’ordinanza di demolizione in attesa della pronuncia del Comune

Queste le risposte dei Giudici di Palazzo Spada alle motivazioni presentate dall’appellante.

Collocazione dell’immobile
I giudici hanno confermato che l’immobile è effettivamente compreso nella zona rossa vesuviana. La verificazione ha accertato che, sebbene inizialmente non fosse incluso nella perimetrazione, l’approvazione definitiva del Dipartimento della Protezione Civile nel 2014 ha esteso il confine della zona rossa, includendo anche l’unità abitativa dell’appellante. Pertanto, il divieto di cambio di destinazione d’uso ai fini residenziali è stato ritenuto valido e applicabile.

Necessità del parere della Soprintendenza
I giudici hanno stabilito che, sebbene il parere favorevole della Soprintendenza fosse stato ottenuto, questo riguardava solo aspetti paesaggistici e non influiva sulle normative edilizie e urbanistiche. La mancanza del requisito di “doppia conformità” legato alla collocazione dell’immobile nella zona rossa ha impedito l’accoglimento dell’istanza di accertamento di conformità.

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Caratteristiche abitative dell’immobile
I giudici hanno respinto l’argomentazione secondo cui l’immobile avesse già caratteristiche abitative sin dalla costruzione. Hanno fatto riferimento alla licenza edilizia del 1957 che specificava che i locali al piano rialzato non potevano essere destinati ad abitazioni. Inoltre, non sono stati forniti elementi sufficienti a dimostrare che l’immobile avesse avuto una destinazione residenziale prima dell’istituzione della zona rossa.

Validità delle opere eseguite
I giudici hanno sostenuto che le opere realizzate dall’appellante costituivano una ristrutturazione edilizia soggetta a permesso di costruire, in quanto implicavano un mutamento della destinazione d’uso e un aumento del carico urbanistico.

Il CdS ha quindi confermato la legittimità dell’ingiunzione di ripristino emessa dal Comune, considerando che senza il titolo necessario si applica la normativa relativa alla rimozione delle opere abusive. In sintesi, le motivazioni presentate dall’appellante sono state tutte respinte dai giudici, i quali hanno confermato la legittimità delle decisioni del TAR e del Comune riguardo al diniego di accertamento di conformità e all’ingiunzione di ripristino.

Nel puzzle della decisione del CdS con quali effetti si colloca la seconda istanza di accertamento di conformità in base al decreto Salva casa?

I giudici hanno esaminato la seconda istanza di accertamento di conformità presentata dall’appellante in base al decreto legge n. 69 del 2024, intervenuto dopo le precedenti decisioni. Tuttavia, hanno chiarito che la presentazione di tale istanza non influisce sull’esito del giudizio in corso. I giudici hanno sottolineato che la richiesta di sanatoria non incide sulla legittimità dell’ordinanza di demolizione, ma solo sulla sua efficacia. Ciò significa che, anche se l’istanza di sanatoria viene accettata, non modifica la validità degli atti impugnati in primo grado fino a quando il Comune non si pronuncia sulla nuova domanda.

Possibili esiti della nuova domanda

Se il Comune dovesse accogliere la richiesta di sanatoria, ciò rappresenterebbe una sopravvenienza tale da legittimare l’intervento edilizio dell’appellante, indipendentemente dalle decisioni precedenti. Al contrario, se la domanda fosse respinta, riprenderebbe efficacia l’ingiunzione di ripristino.

Il ricorso non è, quindi, accolto.

 

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