Il periodo di prova è il lasso di tempo durante il quale le parti del rapporto di lavoro possono recedere liberamente dal contratto senza dare il preavviso.
È dunque un periodo di valutazione per entrambe le parti: il datore di lavoro valuta la risorsa da un punto di vista professionale e personale; il lavoratore valuta l’ambiente – inteso anche come figure con cui collaborare – la mansione e le prospettive di impiego.
La durata del periodo di prova è generalmente stabilita da ciascun CCNL, con durata diversificata in base al livello di inquadramento assegnato, in ragione delle competenze e conoscenze collegate alla figura da inserire.
La normativa sul periodo di prova
Su questa scia, l’unico limite è quanto previsto dalle Leggi in materia: dal Regio Decreto n. 1825/1924 alla Legge 604/1966, fino ad arrivare al più recente Decreto Trasparenza n. 104/2022, il periodo di prova può avere una durata massima di 6 mesi. Durate inferiori possono essere definite dalla contrattazione collettiva.
Se da un lato un periodo di prova più lungo consente alle parti una valutazione più ampia e circostanziata della situazione lavorativa, dall’altra la giurisprudenza ha più volte espresso dei limiti alla possibilità di recedere prima di un congruo periodo di prova, senza di fatto legarsi ad alcun criterio guida specifico.
La sentenza del Tribunale, l’analisi di Conflavoro
A cambiare l’orientamento è la sentenza 7 ottobre 2024 del Tribunale di Arezzo che si è espressa a favore di un’azienda che ha proceduto ad un licenziamento per mancato superamento del periodo di prova di un Dirigente.
Per l’importanza del tema trattato l’Area Relazioni Industriali di Conflavoro intende approfondire il contenuto della Sentenza, ritenendola di assoluto spessore.
Nello specifico, il Dirigente è stato assunto con contratto a tempo indeterminato il 4 settembre 2023 con la mansione di Responsabile dell’area “Oro da investimento” con periodo di prova di 6 mesi, ai sensi del CCNL Dirigenti aziende produttrici di beni e servizi.
La posizione dell’azienda
In data 7 dicembre 2023, al Dirigente veniva comunicato il licenziamento per mancato superamento del periodo di prova, successivamente impugnato dallo stesso in quanto ritenuto nullo, inefficace, infondato, illegittimo, pretestuoso e ritorsivo.
Il ricorso è stato rigettato dal Tribunale di Arezzo, secondo cui non vi è alcuna evidenza che dimostri l’assenza di volontà, da parte dell’azienda, di essere realmente intenzionata ad assumere la figura al termine del periodo di prova.
Il recesso anticipato da parte dell’azienda deriva da una divergenza di vedute ed operato, per cui la figura – benchè con competenze in linea con la mansione da svolgere, anche approfondite mediante apposito master – ha dimostrato di non possedere un approccio incisivo e commercialmente adatto, qualità necessarie per il corretto espletamento della mansione affidata.
A sostegno dei fatti, il Tribunale riconosce che il periodo di prova effettivamente svolto – della durata di un mese e mezzo – ha comunque consentito al Dirigente di interagire con le varie figure aziendali adibite al sostegno e supporto del lavoro svolto dal Dirigente, avendolo inoltre messo nelle condizioni di poter lavorare anche attraverso una bozza di piano industriale ad hoc.
Pertanto il periodo di prova è stato considerato congruo per la valutazione delle capacità possedute e dunque l’azienda si è avvalsa del diritto di recesso, non essendo definito nel contratto un periodo di prova minimo.
In conclusione, il Tribunale di Arezzo dichiara legittimo il licenziamento per mancato superamento del periodo di prova e respinge complessivamente il ricorso presentato dal Dirigente.
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