Il vicepresidente Zini: «Serve una politica dei flussi che tenga conto anche delle esigenze del sistema produttivo. Più donne occupate e Ai»
La piramide demografica non c’è più. Era un grafico immediato che i demografi usavano per illustrare le dinamiche della popolazione: il mattoncino più basso era quello delle nascite, poi si restringeva un pezzetto alla volta, fino ad arrivare a essere uno spicchio o poco più per i grandi anziani.
Oggi la piramide nasce bassa, quasi sale come un cilindro, si allarga addirittura nella mezza età e poi si restringe con calma. Tradotto in posti di lavoro, significa che sono pochi quelli che entrano nel tessuto produttivo, tanti che lavorano ma hanno una certa età, e tanti che sono già in pensione. Passaggio ulteriore: meno persone che entrano nel tessuto produttivo sono un grande problema per le imprese e per il sistema nel suo insieme.
Nei giorni scorsi la Fondazione Leone Moressa ha stimato che nei prossimi quattro anni l’economia lombarda avrà bisogno di 152 mila nuovi occupati immigrati, 20 mila dei quali circa nel bresciano. In almeno quattro casi su cinque non saranno legati alla crescita economica ma semplicemente effetto sostitutivo di persone che nel frattempo sono andate in pensione nel settore privato, esclusa quindi la pubblica amministrazione.
Confindustria Brescia si spinge anche più in là, osservando che da qui a dieci anni mancheranno qualcosa come 60 mila posti di lavoro (italiani e stranieri). Roberto Zini è il vice presidente di Confindustria Brescia, con delega alle Relazioni Industriali e al Welfare.
Buongiorno: sessantamila posti mancanti sono un bel numero, più del 10% di chi lavora in provincia di Brescia.
«Sì, è un numero grande e preoccupa. Noi stiamo lavorando sul tema da tempo per cercare delle soluzioni. E, al momento, abbiamo individuato tre piste: immigrazione, occupazione femminile, intelligenza artificiale».
Iniziamo dalla prima.
«Il dibattito sull’immigrazione spesso viene affrontato solo sotto il profilo della sicurezza o dell’accoglienza. Senza nulla togliere alla qualità del dibattito, noi vorremmo che ci fosse anche un po’ di pragmatismo: a noi queste persone servono, altrimenti le industrie bresciane, a partire dalla manifattura pesante, vanno in crisi. Il problema è articolato e complesso, non si può gestire solo per slogan, per emergenze, o tamponando quel che accade».
Quindi?
«E quindi significa ragionare di immigrazione di qualità, di competenze, di immigrazione pianificata in modo completamente diverso. Ovvio che l’immigrazione vada regolamentata, ma ci vuole una politica dei flussi completamente diversa, che tenga conto anche delle esigenze del sistema produttivo».
L’occupazione femminile?
«Il tasso di occupazione femminile è venti punti percentuali sotto la media delle provincie tedesche con cui ci confrontiamo. Noi siamo al 54%, in Germania arrivano al 76%, nel Nord Europa sono anche oltre. Qualcosa si sta facendo, una su tutte Feralpi, che sta adottando politiche specifiche a riguardo».
Donne in fonderia?
«Oramai è tutto informatizzato, per cui di fatto stiamo parlando di ingegneri che stanno davanti al computer e osservano la colata. Dopodiché le aziende devono mettersi in discussione: serve flessibilità oraria, servono asili nido aziendali, serve un ricalibratura complessivo per fare in modo che le donne possano lavorare in azienda. Non è solo questione di tassi di occupazione, è che stiamo perdendo un’intelligenza che alle imprese serve».
E infine l’intelligenza artificiale.
«Sì, con lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, magari quei sessantamila posti che fra dieci anni mancheranno saranno un po’ di meno».
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