A volte l’Unione europea si lega le mani da sola per poi pentirsi tardivamente. È questo il caso del Regolamento europeo approvato nel 2023 che impone una riduzione delle emissioni di CO2 delle automobili e introduce un divieto di vendere nuovi veicoli a motore termico dopo il 2035.
Questa scadenza è stata contestata fin dall’inizio da alcuni Stati membri, tra i quali l’Italia. E questo perché è stata ritenuta troppo ravvicinata per consentire una transizione ordinata in vista dell’obiettivo finale: la neutralità climatica, con la decarbonizzazione totale, da raggiungere nel 2050.
In vista di questo obiettivo molte misure sono state introdotte dal pacchetto europeo del 2021 (Fit for 55) che fa seguito al Green Deal europeo annunciato dalla Commissione europea con una Comunicazione del 2019. L’idea di fondo è che ormai energia, ambiente e clima costituiscono un tutt’uno e che per salvare il pianeta dal riscaldamento globale occorrono azioni a tutto campo.
La concorrenza cinese e la crisi dei colossi occidentali
Per il settore dei trasporti è stato varato un programma di interventi che vanno dalla istallazione capillare di stazioni di ricarica, aspetto nel quale l’Italia è ancora molto indietro, alla cosiddetta Battery Alliance con lo stanziamento di 2,9 miliardi di euro per investimenti e ricerche nel campo delle batterie di nuova generazione. Queste ultime sono indispensabili, per esempio, per garantire una maggior percorrenza delle automobili con un «pieno di energia».
La scadenza al 2035, unita all’ingresso massiccio nel mercato europeo di automobili a basso costo di produzione cinese, che l’Europa intende contrastare con dazi, sta mettendo in ginocchio le principali case automobiliste, tra le quali Volkswagen, Bmw e Mercedes. La situazione è critica anche per il gruppo Stellantis con il crollo della quotazione di borsa e l’annuncio di un’ulteriore sospensione della produzione a Mirafiori.
Il pressing dell’Italia
Da qui le iniziative in sede europea anche da parte del governo italiano per cercare di porre rimedio alla situazione.
In realtà, il Regolamento europeo del 2023 (UE 2023/851) contiene una clausola di flessibilità. Prevede infatti che nel 2026 verranno riesaminati i progressi compiuti nel conseguimento degli obiettivi e questo in vista di possibili rimodulazioni.
In presenza di una situazione così critica nel settore delle auto il 2026 è ritenuto troppo distante e alcuni Stati membri, con l’Italia particolarmente attiva, vorrebbero anticipare la verifica al 2025.
E qui nasce il problema giuridico. La data del 2026 è fissata nel Regolamento 2023/851, cioè in un atto normativo che si colloca al livello immediatamente inferiore ai Trattati e che vincola in modo diretto tutti gli Stati membri, senza necessità di essere recepito in norme nazionali.
Il groviglio dei regolamenti
I regolamenti europei sono cioè equiparabili alle leggi dei singoli Stati che richiedono per l’approvazione e la modifica passaggi procedurali molto articolati. Basti pensare ai tempi biblici in Italia per l’approvazione da parte della Camera dei deputati e del Senato dei disegni di legge presentati dal governo. Si riesce a far fronte alle emergenze solo tramite la scorciatoia dei decreti-legge che devono essere convertiti dal Parlamento entro sessanta giorni.
A livello europeo non è previsto questo strumento acceleratorio e pertanto la semplice modifica della data del 2026 richiede l’attivazione della procedura ordinaria di approvazione del regolamento. Le premesse del Regolamento UE 2023/851 ripercorrono tutto l’iter: proposta della Commissione europea previa trasmissione del progetto di atto legislativo ai parlamenti nazionali, parere del Comitato economico e sociale europeo, parere del Comitato delle regioni. Dopo questa fase preliminare la procedura ordinaria prevede una prima lettura in Parlamento, una prima lettura nel Consiglio, organo che rappresenta gli Stati membri, una seconda lettura in Parlamento, una seconda lettura in Consiglio, una eventuale fase di conciliazione e a seguire una terza lettura del Parlamento europeo e del Consiglio.
Se questo è l’iter normale, non stupisce che il recente Rapporto Draghi sul futuro della competitività europea includa, tra le tante proposte, quella di snellire le procedure per l’approvazione dei testi normativi non in linea con i tempi necessari per far fronte alle varie sfide ed emergenze.
Anche l’Europa rischia dunque di finire in un cul-de-sac, ma forse questo è uno dei prezzi da pagare per superare la cacofonia di ventisette Stati membri. (riproduzione riservata)
(*) Ordinario di diritto amministrativo
Sapienza Università di Roma
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