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Articoli, interviste e approfondimenti venduti alle aziende. Non solo: ciascun pezzo, prima di essere impaginato e andare in stampa, anziché passare dalla redazione, è finito sulla scrivania di Exor. Domani alle Officine Grandi Riparazioni di Torino si apre la quarta edizione della Italian Tech Week. Grande protagonista sul palco è John Elkann, la cui holding – Exor, appunto – ha organizzato l’evento. E media partner, manco a dirlo, sono i giornali di famiglia, cioè Repubblica e la Stampa. Peccato però che i giornalisti del quotidiano romano abbiano scoperto il trucchetto. E cioè che tutto il lavoro da loro prodotto fino a oggi, più quello che dovrà essere svolto nella tre giorni torinese, è stato venduto alle stesse aziende del tech che vi partecipano.
Per questa ragione il comitato di redazione del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari ha indetto uno sciopero di due giorni (mercoledì 25 e giovedì 26 settembre). La mozione è stata approvata a larga maggioranza dai giornalisti e dalle giornaliste: 230 sì, 33 no e 15 astenuti. Il cdr, dunque, ha denunciato “le gravi ingerenze nell’attività giornalistica” da parte “dell’editore, delle aziende a lui riconducibili e di altri soggetti privati avvenute in occasione dell’evento Italian Tech Week”, chiedendo rispetto della professionalità e dei ruoli.
Tanto Repubblica quanto la Stampa usciranno in edicola domani con lo speciale relativo alla Italian Tech Week. Ma i contenuti, da quanto ha appreso ilFattoQuotidiano.it, non compariranno come redazionali distinti dalle notizie, bensì come articoli veri e propri (all’insaputa di chi li ha realizzati). La stessa cosa succede scorrendo la parte “News” del sito della kermesse, che rimanda direttamente a Repubblica, dove compaiono decine di articoli. Le prime tre edizioni vennero organizzate da Gedi, cioè il gruppo editoriale. Quest’anno, invece il “salto”: a dirigere il tutto c’è direttamente la proprietà, Exor.
“Da tempo – si legge nella nota del cdr – denunciamo i tentativi di piegare colleghe e colleghi a pratiche lontane da una corretta deontologia e dall’osservanza del contratto nazionale. La direzione ha il dovere di apportare ogni correttivo e presidio possibile per rafforzare le strutture di protezione della confezione giornalistica di tutti i contenuti di Repubblica, tema sul quale nei mesi scorsi è già stata votata una sfiducia all’attuale direttore”. Così l’assemblea si rivolge “anche all’editore – e non padrone – di Repubblica John Elkann, affinché abbia profondo rispetto della nostra dignità di professionisti e del valore del nostro giornale, testata con una propria storia e identità che non può essere calpestata. La democrazia che ogni giorno difendiamo sulle nostre pagine passa anche dal reciproco rispetto dei ruoli sul posto di lavoro”. E infine l’appello ai lettori: “Questa redazione non ha mai venduto l’anima. E non sarà mai disposta a farlo”.
La vicenda è solo l’ultima di una serie che in poco tempo ha scontentato lavoratori del gruppo e lettori. All’inizio di quest’anno sia Maurizio Molinari sia John Elkann vennero accusati di “far affondare la nave”, dato che stavano smantellando il gruppo editoriale, a partire dai giornali locali fino alle storiche riviste, come l’Espresso. Poi è stata la volta del caso Ghali, quando durante il Festival di Sanremo venne ritirata un secondo prima della stampa, direttamente dal direttore, l’intervista all’artista, reo di non aver citato il massacro del 7 ottobre mentre parlava di pace a Gaza. Infine la sfiducia, votata a larga maggioranza, nei confronti di Molinari, dopo che ad aprile mandò al macero nottetempo 100mila copie dell’inserto economico Affari&Finanza. Il motivo? L’articolo di apertura sui rapporti industriali tra Italia e Francia era risultato sgradito alla proprietà.
Mail: a.marzocchi@ilfattoquotidiano.it
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